Mariachiara Giacosa. Non bastava la varroa, l’acaro che da quasi un ventennio indebolisce l’ape fino a farla morire, ora sulle arnie piemontesi incombe la minaccia della vespa vellutina e dell’aethina tumida. Un calabrone che arriva dall’Asia e attraverso Francia e Liguria ha iniziato a fare capolino nel Monregalese, e un coleottero che dalla Calabria mette in pericolo, con armate di 10 mila nuovi nati ogni deposizione, le arnie piemontesi. Un assedio da contrastare.
Serviranno anche a questo i 700 mila euro che la Regione ha appena stanziato per risollevare il miele piemontese: fondi europei e fondi regionali, destinati agli apicoltori che parteciperanno ai bandi da lanciare dopo l’estate. I soldi serviranno soprattutto a finanziare l’assistenza tecnica per proteggere alveari e arnie dalle contaminazioni e fare corsi di formazione. «L’apicoltura è in grande espansione, ma occorre che i nuovi allevatori siano preparati perchè le api volano e il problema di uno diventa il problema di tutti gli altri» sottolinea Ernesto Marengo, presidente della cooperativa Piemonte miele, la più grande in Piemonte che commercializza all’estero almeno il 60 per cento del prodotto. I soldi dovranno poi favorire la transumanza, sostenere i laboratori di analisi del miele e i programmi di ricerca sulla qualità, programmi di ripopolamento e difesa dalla malattie. «La ricerca per sconfiggere le malattie delle api è fondamentale perchè si diffondono molto in fretta – prosegue Marengo – la vespa vellutina ad esempio mangia le api ma soprattutto le terrorizza tanto che queste non escono più dagli alveari con danni importanti sulla produzione di tutta la stagione».
Ammette i problemi anche l’assessore all’agricoltura Giorgio Ferrero. «Negli ultimi anni abbiamo registrato morie sopra la media – fa notare – ma questo settore è sempre più importante nell’economia agricola piemontese ». Senza contare che allevare api è un’attività a impatto ambientale pari quasi a zero e non è poco in anni di attenzione e impegno alla salvaguardia della biodiversità.
Il settore è, nonostante tutto, abbastanza florido. Negli ultimi dieci anni gli alveari sono passati da 100 mila a 165 mila, con oltre 4 mila aziende registrate (erano 2800). Numeri che fanno del Piemonte la prima regione italiana sia per quantità di api sia come capacità produttiva, con una grande varietà di mieli prodotti. Le province più dedite all’apicultura sono Cuneo con 873 aziende e 44 mila alveari, Torino che conta 1249 aziende e quasi 30 mila alveari e Novara, dove si concentrano la maggior parte delle aziende professionali, con una media di 107 alveari per ogni proprietario. Il popolo di miliardi di insetti a strisce gialle e nere negli ultimi anni ha dovuto fare i conti con parecchi problemi, a partire dalla moria del 2008, dovuta all’uso intensivo di antiparassitari in agricoltura. Un fenomeno che, paradossalmente, ha reso gli ambienti urbani più ospitali rispetto ai campi e alla campagna. Non è un caso che a Torino ci siano arnie a pochi passi da piazza Vittorio Veneto, grazie anche al progetto “Urbees” che da cinque anni promuove e sviluppa l’apicoltura in città. E, allargando l’obiettivo, è ormai famoso in tutto il mondo, quanto meno per la sua peculiarità, il miele prodotti negli alveari sui tetti di Parigi o sui davanzali dei loft di Manhattan.
Repubblica – 4 agosto 2015