Dopo le troppe morti sospette di soldati e non, nel 2009 il ministero della Difesa aveva creato un comitato di prevenzione e controllo. Quattro anni dopo, si scopre che non ha fatto nulla, tranne distribuire soldi in modo non trasparente
Era nato tra grandi speranze e con una missione importante e delicata: studiare i fattori di rischio per la salute dei militari impegnati in missioni internazionali e nei poligoni, su forte impulso della penultima Commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito.
Eppure dal 2009, anno del suo insediamento, il Comitato di prevenzione e controllo delle malattie istituito presso il ministero della Difesa, è accusato di aver inciso poco o nulla sulla questione per la quale è stato costituito. Avendo assunto, come unica iniziativa significativa, la pubblicazione di un bando milionario destinato a finanziare alcuni dei suoi componenti.
E’ un passaggio della relazione finale dell’ultima Commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito a mettere nero su bianco e in modo esplicito le perplessità per l’operato del Comitato, istituito nel 2007 dall’allora ministro della Difesa Arturo Parisi sulla scia delle testimonianze dei soldati italiani affetti da gravi patologie dopo essere stati impegnati nei poligoni sardi o in missioni internazionali, spesso senza essere dotati delle stesse protezioni in uso alle forze alleate.
La Commissione d’inchiesta, nel testo pubblicato poche settimane fa, esprime un giudizio severo sull’attività finora svolta dai componenti dell’organismo in questione e parla di «scarsi risultati conseguiti». Ma non si ferma qui.
L’unica iniziativa significativa assunta dal Comitato, fa notare la relazione firmata dal presidente della Commissione Rosario Giorgio Costa, è stata la pubblicazione di un bando per l’assegnazione di fondi a carico del Ministero della Difesa e destinati a sostenere progetti di ricerca.
Tra i sette finanziati, per un costo totale di quasi 3 milioni di euro, due fanno capo a membri del Comitato e un terzo è stato assegnato al coordinatore delle strutture operative e di ricerca che agiscono per conto dello stesso organismo. Si tratta di un milione di euro, soldi destinati a finanziare l’attività di ricerca svolta dalla dottoressa Antonietta Gatti e dai professori Massimo Zucchetti e Raffaele D’Amelio, quest’ultimo operante nelle vesti, appunto, di coordinatore.
Si va dai 650 mila euro ottenuti dal professor D’Amelio per il progetto triennale riguardante «la sicurezza, immunogenicità ed efficacia delle vaccinazioni nel personale militare», ai 202 mila euro previsti per la ricerca della dottoressa Gatti«sull’esposizione alle nanoparticelle ambientali in modelli vegetali», passando per il 100 mila euro richiesti per un progetto biennale, l’ennesimo sulla «tossicità dell’uranio impoverito»dal professor Zucchetti. Somme che sono in gran parte già state erogate.
Anche se si tratta di nomi scientificamente autorevoli, sono gli stessi commissari a storcere il naso di fronte alla procedura seguita per l’assegnazione del denaro: «La Commissione d’inchiesta ritiene che tale procedimento presenti caratteristiche di inadeguatezza nella valutazione e scarsa trasparenza»
A leggere i nomi dei professori finanziati salta agli occhi anche altro: due di loro risultano essere stati anche consulenti della Commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito. Si tratta della dottoressa Gatti e del professor Zucchetti, studiosi di fama mondiale che – mentre collaboravano gratuitamente con i senatori per aiutarli a individuare le responsabilità del ministero della Difesa nelle morti e nelle malattie contratte dai soldati italiani- hanno beneficiato dei fondi elargiti dal Ministero stesso. Nonostante l’autorevolezza degli esperti e la qualità degli studi, la presenza di un potenziale conflitto d’interessi non passa inosservata.
A spulciare l’elenco dei sette studi foraggiati dal Comitato per la Prevenzione ci si imbatte anche in un progetto sulla «incidenza della patolologia neoplastica tra il personale militare e civile operante nel poligono di Salto di Quirra dal 1990 al 2005».
Un tema delicato, alla luce dei molti militari deceduti dopo aver prestato servizio nel poligono sardo. Morti sulle quali la procura di Lanusei ha avviato un’inchiesta nel 2011 per disastro ambientale e omissioni dolose.
di Martino Villosio e Salvatore Ventruto – L’Espresso – 19 febbraio 2013