Per quanto riguarda i dissensi temporanei, «ogni 6 mesi la famiglia verrà ricontattata riproponendo la vaccinazione fino all’età di 3 anni». E chi decide definitivamente di non vaccinare i figli contro difterite, polio, epatite B, tetano, morbillo e pertosse? A loro, l’Usl invierà «il sollecito ogni due anni dall’espressione del dissenso».
È questa l’arma scelta dalla Regione Veneto per combattere il graduale, inesorabile crollo delle vaccinazioni non più obbligatorie da quasi 10 anni. Obiettivo: non scendere mai sotto la soglia del 90% in asili e materne, pena l’esclusione dei bambini non immunizzati dalla classe sotto parametro. Tecnicamente la procedura sarà questa: all’atto dell’iscrizione a nido e materne i genitori dovranno presentare il certificato di vaccinazione o un’autocertificazione da trasmettere al sindaco e all’Usl. Quest’ultima, esaminato lo stato vaccinale dei bambini iscritti in ciascuna classe, informerà il sindaco sul possibile rischio sanitario. Dopodiché sarà lo stesso sindaco a decidere chi ammettere e chi no. Sia nelle scuole di diretta competenza municipale, sia nelle paritarie. Stante il fatto che dal 2003 al 2013, sebbene la situazione appaia in leggero miglioramento, in Veneto sono stati registrati 6,4 punti in meno per le vaccinazioni contro il morbillo (dal 92,2 all’85,8%), 7,1 per la polio (97,2 contro 90,1) e così via, con una tendenza simile per la pertosse e l’epatite B, con percentuali variabili di Usl in Usl. Ma il provvedimento emanato martedì perlopiù non piace a sindaci e scuole. Che temono soprattutto «una gran confusione», al punto da spingere l’Anci veneta, l’associazione che riunisce i Comuni e i loro sindaci, a mettere le mani avanti: «Decidere chi può o non può iscriversi? Non lo faremo».
«Non riusciamo a comprendere funzioni e modalità di applicazione della delibera. Comunque sia, la Regione non può scaricare sui sindaci la responsabilità di selezionare i bambini», esclama la presidente Maria Rosa Pavanello. La questione non sarebbe tanto politica quanto tecnica: «Nel Veneto esiste una legge – dice Pavanello – che non prevede l’obbligo vaccinale. La delibera, al contrario, indica una soglia da rispettare. Dovremo ottemperare alla legge o al provvedimento della giunta? Direi alla legge. La delibera mi pare un po’ confusa».
Non a caso gli stessi primi cittadini prendono tempo: se Luigi Brugnaro, sindaco di Venezia, farà esaminare il documento dai sindaci prima di prendere posizione (come il collega vicentino Achille Variati o l’omologo rodigino Massimo Bergamin), a Treviso Giovanni Manildo vuole il ripristino delle vaccinazioni obbligatorie, secondo lo schema dell’Emilia Romagna: «La Regione – esclama – ha abdicato a una sua potestà. Stiamo parlando di un’emergenza reale e concreta. Ancora una volta i sindaci devono essere supplenti di qualcun altro».
Preoccupata è anche la Fism, la Federazione delle scuole paritarie (1.043 istituti in Veneto, con 93 mila alunni di cui il 40% nei nidi integrati). «Chiederemo subito un tavolo di confronto con Regione, Usl e Anci: come ci comportiamo con i bambini che già frequentano una classe sotto soglia? Li mandiamo via? A febbraio si chiuderà il primo ciclo di iscrizioni, dovremo integrare regolamenti e modulistica: ma in che termini?», domanda il presidente regionale Stefano Cecchin. Ma l’Anci non vuole saperne: «Niente tavoli, abbiamo altri impegni come l’edilizia scolastica», risponde Pavanello. Ottimista, al contrario, è Antonio Ferro, presidente triveneto della Società d’igiene (Siti): «La delibera è migliorativa, la catena organizzativa sarà assicurata. La vera urgenza semmai è un’altra: vaccinare il personale sanitario. Solo il 17% degli operatori veneti è immunizzato contro l’influenza. Immaginate le potenziali conseguenze nei reparti a rischio». Ma questo è un altro capitolo.
Stefano Bensa (ha collaborato Silvia Madiotto) – Il Corriere del Veneto – 1 dicembre 2016