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Variante indiana più contagiosa, ma aumentano dubbi per l’impatto sui vaccini. Oms ha cambiato la classificazione da “rilevante” a “pericolosa”

Il Sole 24 Ore, Francesca Cerati. I potenziali impatti della variante indiana (la B.1.617 e i suoi tre sottotipi) sull’efficacia dei vaccini, delle terapie o sui rischi di reinfezione, rimangono incerti, anche se aumentano le prove che questa variante potrebbe essere più trasmissibile e leggermente migliore nell’eludere l’immunità rispetto alle varianti esistenti. Inoltre studi in modelli animali suggeriscono che potrebbe essere anche in grado di causare malattie più gravi.

Le analisi preliminari di laboratorio – in attesa di revisione tra pari – suggeriscono una “riduzione limitata” della neutralizzazione da parte degli anticorpi. Un altro studio rileva “una riduzione di 7 volte” nell’efficacia di neutralizzazione da parte degli anticorpi generati dalla vaccinazione con Moderna e Pfizer/BioNTech. Un secondo lavoro conferma una riduzione per Pfizer/BioNTech. Un terzo esamina un campione limitato di sieri convalescenti e di un altro vaccino e conclude che è stata mantenuta la maggior parte dell’attività neutralizzante. Un quarto studio parla di una riduzione di 3 volte per Pfizer e 2 volte nei sieri di guariti da malattia grave.

Di fatto, in poche settimane, la variante B.1.617 è diventata dominante in tutta l’India e si è diffusa in almeno 44 nazioni, tra cui Regno Unito, Fiji e Singapore. E questo spinge gli esperti a concordare che è altamente probabile che sia più trasmissibile, come detto anche da Shahid Jameel, virologo dell’Università di Ashoka a Sonipat, a capo del gruppo consultivo scientifico indiano Sars-Cov- 2 Genome sequencing consortia (Insacog). E infatti l’Oms ha cambiato la classificazione della variante indiana da “rilevante” a “pericolosa”. Come già era accaduto con quella sudafricana (B.1.351), brasiliana (P.1) e inglese (B.1.1.7). E anche i Cdc statunitensi la considerano “di interesse”, aggiungendola alle varianti virali da tenendo d’occhio. Da un punto di vista strutturale, nella B.1.617 gli scienziati del National institute of virology (Niv) a Pune hanno identificato 8 mutazioni nella proteina spike: due sono simili a mutazioni che hanno permesso ad altre varianti “preoccupanti” di diventare più trasmissibili e una terza assomiglia a una mutazione che potrebbe aver permesso a P.1 di eludere parzialmente l’immunità. Detto questo, a oggi gli esperti non possono ancora trarre informazioni conclusive – gli studi sono di laboratorio e condotti su piccoli gruppi, tali da non fornire risposte certe nel mondo reale – quindi procedono con cautela, ricordando che i vaccini stimolano la produzione di grandi quantità di anticorpi, di conseguenza un calo di potenza potrebbe non essere significativo. Inoltre, altre parti del sistema immunitario, come le cellule T, potrebbero non essere influenzate. Ad esempio, la variante sudafricana è stata collegata a cali della potenza degli anticorpi neutralizzanti, ma studi sugli esseri umani suggeriscono che molti vaccini rimangono altamente efficaci contro questa variante, in particolare nel prevenire malattie gravi. Per questi motivi, è probabile che i vaccini rimangano efficaci contro B.1.617. Nel dubbio, i produttori di vaccini stanno già testando le dosi di richiamo modificando le formule per colpire specificamente alcune delle varianti più pericolose, ma il sequenziamento per monitorare le mutazioni virali rimarrà la chiave per prepararsi a future ondate di infezione.

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