Vegani. Uno «stile di vita» scelto da 230mila veneti e da molte aziende di alimenti, cosmetici e scarpe. I medici: «Dieta rischiosa, soprattutto per i bambini. Può bloccare la crescita»
E’ solo l’ultimo di una serie, in Italia e all’estero, il bambino di Belluno finito all’ospedale per la dieta vegana, priva di «qualunque alimento frutto di sofferenza, sfruttamento o uccisione di altre specie animali». E quindi: niente carne, pesce, uova, formaggi, latte e derivati, miele. Una «moda pericolosa» per la maggioranza dei medici, «una filosofia di vita nel rispetto di ogni forma di vita» secondo chi la professa, che impazza da qualche anno anche in Veneto, terza regione per numero di «praticanti», 230mila su 1.150.000 a livello nazionale, e prima per ristoranti, gelaterie, Bed&Breakfast, trattorie e aziende produttrici di alimenti, cosmetici e perfino scarpe in perfetto stile vegan. Ma cosa mangiano i vegani e perché sono diversi dai vegetariani?
«Prima di tutto la nostra non è semplice alimentazione ma una scelta di vita, estesa all’abbigliamento e all’arredamento, dai quali esclude pellicce, lana, seta, piume, cuoio e pelle — spiega Renata Balducci, presidente di AssoVegan, onlus nata nel 1999 in Toscana e ora forte di «ambasciatori» in ogni regione —. Noi non vogliamo partecipare allo sterminio di altre specie animali, ma non siamo nemmeno dei folli. Grandi e bambini devono essere seguiti da un nutrizionista, lo diciamo sempre, e se ci ammaliamo, pur scegliendo di norma farmaci di origine vegetale, non rifiutiamo prodotti con ingredienti di derivazione animale se sono salvavita. Non mettiamo a repentaglio le nostre vite». Il «papà» della dieta vegana è l’inglese Donald Watson, che il primo novembre 1944 fondò insieme a Elsie Shrigley la «Vegan Society», dopo che la «Vegetarian Society» non aveva eliminato i latticini. «I vegetariani rappresentano il passato — afferma Balducci — loro mangiano uova, formaggi, latte e miele e non è raro vederli indossare scarpe di cuoio o piumini.Sono rimasti indietro, ormai l’Italia è, con l’India, il primo Paese al mondo per numero di vegani, che cresce del 15% all’anno, e Veneto, Lombardia e Toscana sono i territori più recettivi. Perché i veneti sono curiosi, hanno voglia di conoscere, sono attenti ai cambiamenti attorno a loro. E così anche l’imprenditoria si è dimostrata molto sensibile».
E infatti a Vigonovo, undici anni fa, è sorto il primo negozio di scarpe vegane, il «De Romeo Vegan», fondato da Paolo Anemone, seguace di questo stile di vita. Ne è nato un campionario di 50-60 modelli da uomo e donna, sportivi, eleganti, da ginnastica e col tacco, con tomaia in microfibra o, per gli articoli estivi, in cotone, lino o canapa, suola in gomma o con para in caucciù e rivestimento in tessuto e altri materiali biologici. Che non necessitano di concia e quindi non hanno nichel, perciò le scarpe vegan, prodotte sulla Riviera del Brenta, sono anallergiche. «De Romeo», ora trasferito a Venezia, ha ricevuto il marchio di certificazione «Vegan ok», come il «Microlife» cosmetici di Padova, il ristorante «Vegan House» a Torre di Mosto (Venezia) e la prima «Paraphyto farmacia vegan» di Vicenza, solo per citare uno spaccato della ricca fetta del commercio veneto che ha virato su questa filosofia. Forte di due «testimonial» famosi: il trevigiano Red Canzian, bassista dei Pooh, e il vicentino Alberto Leonardi, campione del mondo di karate. «Il Veneto è aperto al cambiamento — conferma la presidente di Assovegan — abbiamo appena concluso un convegno ad Abano e a fine mese terremo 48 ore di aggiornamento per i farmacisti».
Ma che ne pensano i medici? Per capirci, ecco un giorno di dieta-tipo. Colazione: latte di soia e torta fatta in casa o estratto di frutta e verdura e biscotti vegan (con farina di riso, mandorle, cocco, cioccolata); pranzo: pasta, verdure al vapore, saltate o crude, seitan o sformato di melanzane; cena: minestra, passato o crema di verdure, tofu o legumi, verdure al forno, involtini di zucchine. «E’ una dieta che causa deficit nutrizionali notevoli e quindi può essere rischiosa per un bambino — avverte il dottor Giuseppe Giancola, vicesegretario regionale della Fimp (pediatri) —. Si rinuncia al calcio presente nel latte, alla vitamina B12 e al ferro contenuti nella carne, alla vitamina D di pesce e uova, ingredienti essenziali alla crescita, che senza può essere inibita. Bisogna stare molto attenti». «La letteratura scientifica e le linee guida internazionali indicano che è un regime alimentare pericoloso per lo sviluppo, fisico e psichico, del bambino — conferma la dottoressa Angiola Vanzo, direttore del Servizio igiene degli alimenti e nutrizione dell’Usl 6 di Vicenza —. Può ritardarne lo sviluppo, perciò noi non diamo mai il benestare alla dieta vegana nelle scuole. E anche assumendo integratori, e ciò vale pure per gli adulti, non si raggiunge l’equilibrio garantito dalla dieta mediterranea. L’uomo è onnivoro e deve mangiare un po’ di tutto e con equilibrio, limitando per esempio la carne a due volte la settimana, preferibilmente bianca e non lavorata, come i wurstel». Nemmeno un lato positivo? «Da un punto di vista generale l’alimentazione vegana corretta potrebbe ridurre il rischio di obesità, diabete e malattie cardiovascolari — osserva il professor Mauro Zamboni, primario di Geriatria e direttore del Servizio di nutrizione clinica dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Verona —. Ma solo un esperto nella composizione degli alimenti e nella loro integrazione può creare una dieta bilanciata e nessuna persona comune ha le conoscenze adeguate. I risultati sono deficit nutrizionali per difetto, che possono scatenare anemia, neuropatie e deficit cognitivi. Trovo poi aberrante definire naturale una dieta e prendere vitamine, calcio e ferro in pillole».
Michela Nicolussi Moro – Il Corriere del Veneto – 18 ottobre 2015