Tempi rapidi per l’esame del prospetto dell’Opa Sulla vicenda di Collecchio l’assoluzione data agli istituti di credito ha stupito tutti. Risponde con il consueto distacco, come se parlasse del tempo. «Il prospetto dell’Opa dei Besnier su Parmalat? È appena arrivato. Lo esamineremo rapidamente, anche prima dei termini legali».
Presidente Vegas, ha inaugurato il suo mandato auspicando il rafforzamento degli investimenti italiani in Italia. E’ preoccupato per il futuro di Collecchio?
«A cose fatte, lo scrupolo della Consob non può essere la nazionalità dell’impresa ma la tutela dei risparmiatori. L’importante è che non si sottragga valore agli azionisti».
Chiederete il mantenimento della quotazione a Milano?
«Non possiamo decidere noi cosa sarà di Parmalat. Possiamo, però, chiedere all’offerente di esplicitare le sue intenzioni. Nel valutare l’Opa, ci atterremo ai criteri che usano i colleghi del takeover panel britannico e giudicheremo la sostanza: come viene pagata, con che soldi, le ricadute industriali e occupazionali. Devono essere chiari gli obiettivi dell’Opa».
Il fatto che in Francia non esista un bilancio pubblico di Lactalis vi preoccupa? Chiederete un sovrappiù di carte?
«Persino in Gran Bretagna, il più market oriented dei Paesi, pretendono di sapere come vengono finanziate le operazioni. Alcuni chiarimenti sono arrivati, altri li attendiamo».
Si è parlato di una quota per la Cassa depositi e prestiti. E’ realistico che avvenga?
«Dipende dalle decisioni che prenderà la Cassa, certo sarebbe difficile ipotizzare una partecipazione prima che vengano chiariti tutti profili dell’operazione».
L’esito dell’operazione è una sconfitta per il sistema imprenditoriale italiano?
«La sfida non è stata raccolta. Ora occorre fare un paio di riflessioni: sul nostro capitalismo e sui meccanismi che permettono le scalate».
Ovvero?
«E’ positivo che ci siano stranieri che investono in Italia. Ma la domanda è: perché certe acquisizioni avvengono quando noi sembriamo meno orientati a farle? Noto un’asimmetria fra il livello di finanziamento garantito dalle banche francesi alle loro imprese e il corrispondente impegno di quelle italiane».
Le banche italiane sono troppo prudenti?
«La prudenza è decisiva per la stabilità. Ma può avere effetti collaterali».
Le aziende italiane sono troppo contendibili o troppo poco?
«Ce ne sono di entrambi i tipi».
Oggi, anche alla luce del caso Parmalat, è favorevole a un abbassamento del limite del 30% per l’offerta pubblica?
«Si può immaginare una soglia più bassa, purché si permetta alle aziende di introdurre negli statuti regole difensive».
A Milano ci sono appena trecento quotate. L’ad di Borsa italiana, Jerusalmi, dice che per allargare il listino bisogna alleggerire gli adempimenti. E’ d’accordo?
«D’accordissimo. Alleggerire gli adempimenti, semplificare i prospetti e accelerare i tempi per non perdere la convenienza della quotazione».
C’è anche un problema di costi? Il ministro dell’Economia Tremonti dice che sono troppo alti, Jerusalmi risponde di no.
«Il problema è che il costo della quotazione è indifferente rispetto alla dimensione delle imprese. Se la Gran Bretagna ha una grande Borsa per i “piccoli” lo deve anche a questo. E poi c’è un problema di costi indiretti: pensi solo a tutte le regole di compliance».
Non è rischioso, in un Paese ad alto tasso di illegalità, abbassare il livello dei controlli?
«A che serve un prospetto di 200 pagine, se l’unico risultato è dare più lavoro agli avvocati? Basta responsabilizzare l’intermediario. Occorre trovare un buon equilibrio sulla qualità dei controlli. Molto dipenderà anche dall’Esma (l’organismo delle Consob europee, ndr) e l’Ue, che su questi temi talvolta si mostra schizofrenica».
Si è dato un tempo entro il quale raggiungere risultati tangibili su costi e semplificazioni?
«A luglio entrano in vigore le nuove regole sui prospetti semplificati dei fondi di investimento. Conto di fare un bilancio entro un anno».
Lei chiede il potere di rilasciare le autorizzazioni alle quotazioni, sottraendolo a Borsa italiana. Jerusalmi sostiene che sarebbe un’anomalia. E’ così?
«Non sono d’accordo. Borsa italiana è una società privata, deve massimizzare l’utile. Un organismo pubblico è meno interessato a fare cassa sulle ammissioni. A volte la loro selezione può basarsi su chi garantisce più scambi, non sempre coincide con chi vuole crescere. Noi possiamo chiedere più garanzie sulla struttura societaria. Sia chiaro: la speculazione è ineliminabile dalla Borsa, ma la Consob si deve porre anche il problema di come far affluire più capitali all’economia reale».
Uno dei suoi obiettivi è creare una vera Borsa per i piccoli. Significa che punta a superare il nostro tradizionale sistema bancocentrico?
«Il problema non è fare a meno delle banche, ma in un momento di difficoltà del sistema, concentrato sui rafforzamenti dei patrimoni, dobbiamo aiutare le imprese a crescere».
A proposito di Parmalat: non è rimasto stupito dalla sentenza sul crac che ha mandato assolte tutte le banche?
«Non amo commentare le sentenze, ma l’assoluzione ha stupito tutti. Per colpire in maniera più incisiva i reati finanziari sarebbe utile pensare a sezioni specializzate della magistratura».
?La Consob può fare qualcosa contro i rischi della finanza derivata?
«Solo l’Europa nel suo complesso. I derivati sono anche utili: servono ad assicurare il rischio, sostengono gli investimenti. C’è però un problema di opacità e occorre distinguere fra tipi di clienti: al singolo risparmiatore certi prodotti vanno semplicemente vietati».
Fra dieci giorni c’è l’incontro annuale con il mercato a Palazzo Mezzanotte, di fronte al noto dito medio di Maurizio Cattelan, di cui lei ha chiesto invano la rimozione. Dispiaciuto?
«Avevamo valutato l’ipotesi di spostare l’incontro, ma le difficoltà tecniche erano troppe. Pazienza».
Lastampa.it – 1 maggio 2011