L’attacco alla democrazia è respinto, la demagogia e il populismo non hanno trionfato e i poteri forti dovranno continuare a rodersi il fegato nell’ombra perché i consiglieri regionali, con buona pace dell’ardimentoso Leonardo Padrin, non sono per nulla intenzionati ad «autolimitarsi» a due mandati soltanto. O almeno non adesso. Acconsentiranno a farlo (forse) dal 2025.
La decisione ancora non è stata presa (l’aula dovrebbe esprimersi oggi) ma l’orientamento appare onestamente inequivocabile, sentiti gli interventi che si sono susseguiti ieri nel corso del dibattito sulla nuova legge elettorale. Argomento scivoloso, stante che si vota tra soli quattro mesi, che la maggioranza si è trascinata per due anni ritrovandosi oggi nelle sabbie mobili. In ballo, a dire il vero, non c’è soltanto il limite dei due mandati «immediatamente esecutivo e retroattivo» proposto dal forzista Padrin, che avendo tre mandati alle spalle ha già fatto sapere di non volersi comunque ricandidare: c’è pure l’aggiustamento sul voto disgiunto (col testo attuale risulta eletto il candidato presidente della coalizione più votata, anziché quello più votato), la doppia preferenza di genere (chiesta a gran voce dalle associazioni femministe, presenti in forze ieri a Palazzo Ferro Fini), il ballottaggio in stile sindaci (proposto da Ncd e da Francesco Piccolo del Gruppo Misto), più una lunga serie di altri ritocchi, dall’introduzione del collegio per i ladini all’abolizione dei collegi provinciali, che si vorrebbero sostituiti da un unico grande collegio regionale «così da evitare inutili campanilismi» (Diego Bottacin, Scelta civica).
Va da sé, però, che il limite dei due mandati, che la commissione Affari istituzionali concederebbe solo dalla prossima legislatura (sull’esempio del Friuli Venezia Giulia, che limiterà i mandati a tre dal 2017) mentre Padrin vorrebbe applicato da subito, con tutto il suo corollario di pareri costituzionali pro e contro, ha monopolizzato il dibattito, scaldando gli animi di molti consiglieri, inferociti con i giornali colpevoli per Pietrangelo Pettenò di Rifondazione di cavalcare «la demagogia e il populismo», di puntare alla «fine della politica» e di voler sostituire «gli eletti dal popolo con gli scelti delle classi dominanti». D’accordo «in tutto e per tutto» Raffaele Grazia di Futuro Popolare, che ha prima accusato «i pennaioli» di «infervorare» le masse e poi fatto sapere di aver ispirato un emendamento che, se approvato, sancirà l’ineleggibilità in consiglio regionale per i giornalisti. Si vedrà se passerà. Forza Italia, come al solito, si è spaccata e il capogruppo di quella «per il Veneto» sponda ex An, Piergiorgio Cortelazzo, ha rimarcato come i pareri di incostituzionalità presentati in commissione gli sembrino insuperabili («Qui non è una questione di carega ma di coerenza con noi stessi») mentre il Pd e l’Idv si sono detti pronti a votare a favore (i democrats , peraltro, già applicano la regola al loro interno per statuto). «Vogliamo recuperare un po’ di credibilità agli occhi della gente oppure vogliamo allargare di un altro metro il solco che già oggi divide questa istituzione da chi sta fuori?», si è chiesto Stefano Fracasso del Pd. La maggioranza è sembrata avere le idee parecchio confuse: oltre ai padriniani anche alcuni leghisti sono tentati dal blitz, mentre gli assessori, quasi tutti con più di due mandati alle spalle, fanno muro. Per dire, quando il capogruppo della Lega Federico Caner ha chiesto una sospensione per mettere un po’ d’ordine, la stessa maggioranza gli ha risposto picche. Forse la presenza del governatore Luca Zaia avrebbe aiutato. Tant’è, per la sospensione e il rinvio a è stata comunque solo una questione di minuti: quando dal dibattito si è passati ai voti sugli emendamenti, infatti, si è capito che la coalizione di centrodestra non era in grado di garantire la tenuta. Già il primo emendamento, quello sul ballottaggio, solleticava infatti Forza Italia per il Veneto, che carezzava l’idea di vendicare lo sgarbo patito da Cortelazzo (si veda l’articolo in basso). Zaia, infatti, di ballottaggio non vuol neppure sentir parlare. Padrin ferma tutti: meglio salutarsi. Ci si rivede oggi, con più calma.
Marco Bonet – Corriere del Veneto – 21 gennaio 2015