Pd e Pdl in fibrillazione, più sereni leghisti e grillini. Il caso Sel. Fosse in loro, chi scrive ci penserebbe due volte prima di buttarsi dal portellone. La contraerea veneta, infatti, è schierata da destra a sinistra e non vede l’ora di tirare il grilletto: a centrare un paracadutato ci mette niente.
Sono giorni di fibrillazione per i colonnelli delle segreterie alle prese con la stesura delle liste, stretti tra l’ordine dei generali riuniti nella capitale («Questo va qui, quello va lì») e le grida delle truppe in loco («Non vogliamo i foresti»), spalleggiate ora pure dagli imprenditori. E’ di ieri, infatti, il «chi va là» dei presidenti di Confcommercio e Confturismo, Massimo Zanon e Marco Michielli: «Non vogliamo paracadutati – scrivono in una nota congiunta i due, a nome delle 71 mila imprese del settore – ma politici che ci rappresentino. Già questa legge elettorale fa rabbrividire, la cosa peggiore che possa capitarci in questo interminabile periodo di crisi sarebbe una classe di parlamentari incompetenti sul piano territoriale».
Anche il presidente di Confindustria Andrea Tomat, pur riconoscendo «il diritto di ogni formazione politica di compiere in autonomia le proprie scelte», ribadisce (come già in passato) «l’auspicio di una forte rappresentanza del nostro territorio» e insomma, il messaggio è chiaro e non è di benvenuto.
Ma come stanno andando le cose nei partiti? Partiamo dal Pd, dove il segretario Rosanna Filippin sta battagliando per riuscire a strappare dopo i tre capolista indigeni (Puppato, Zoggia e Baretta) anche altri posti a favore dei candidati di casa tra le prime sette posizioni «in quota Bersani» di Camera e Senato. Tre nomi sono quasi sicuri: sono quelli della stessa Filippin e dei deputati uscenti Gianni Dal Moro e Andrea Martella. Poi ci sono il vice sindaco di Vicenza Alessandra Moretti e la new entry, clamorosa, Giorgio Santini, il vice segretario nazionale della Cisl originario di Vicenza. Sarebbero cinque veneti su sette posti disponibili e Filippin allarga le braccia: «Stiamo facendo miracoli, rispetto al passato è una rivoluzione». Ma potrebbe non bastare.
Mentre resta infatti in campo l’ipotesi che a completare l’elenco piombi in Veneto un candidato in «quota Renzi» ed un altro in «quota socialista», da Treviso a Vicenza si apre per i vertici democrat un nuovo fronte, quello della posizione in lista: «Gli elettori delle primarie hanno il diritto di veder tradotto il proprio voto – scrivono i rappresentanti di undici circoli del Vicentino – e ci preoccupa la possibilità che i nominati da Bersani possano essere collocati ai primi posti».
L’appello è a sostegno della deputata uscente Daniela Sbrollini, «che con i suoi 4.920 voti alle primarie è risultata la donna più votata del Veneto ma, nonostante questo, si ritrova solo decima alla Camera Veneto 1, una posizione che non sembra garantirle con sicurezza la rielezione». Prima di loro, il segretario di Treviso Roberto Grigoletto aveva chiesto con forza in direzione «il rispetto del nostro statuto, secondo il quale i candidati devono essere espressione del territorio. Una regola utile ora più che mai, specialmente al Senato dove la lotta sarà voto a voto. Eventuali paracadutati in “quota Bersani” vadano nelle posizioni incerte e se la giochino». Una tensione che va ad aggiungersi al «caso Stradiotto», apprezzato dalla base ma fuori alla primarie del Veneziano, ed al «caso Rotta», la giornalista di TeleArena pure esclusa dalla competizione ai gazebo che ha già fatto ricorso contro il verdetto appellandosi alle quote rosa.
Animi agitati anche in Sel, dove capolista al Senato sarà il portavoce della comunità senegalese di Firenze Papa Diaw, già protagonista suo malgrado di un duro scontro in Toscana. Mettendolo a capo della lista della regione d’origine, infatti, Nichi Vendola aveva dovuto far scalare in posizioni insicure i vincitori delle primarie, Alessia Petraglia e l’ex mister del Bologna Renzo Ulivieri, una decisione che ha provocato l’immediata levata di scudi della base vendoliana ed il successivo dirottamento in Veneto. Poco male, si dirà: il posto di Diaw qui sarebbe stato comunque occupato da una paracadutata, e cioè da Maria Grazia Francescato. E invece il segretario Dino Facchini commenta amaro: «Penso che la scelta di candidare qui Diaw faccia male a lui, prima che al partito. Non è conosciuto, nessuno sa le iniziative, encomiabili per carità, di cui è stato protagonista nella sua Firenze e insomma, non mi pare che sia stata la migliore delle idee».
Non va meglio nel centrodestra, sponda Pdl, anche se tra gli azzurri i malumori sono anestetizzati dai ritardi che si stanno accumulando nella scelta dei nomi. I capolista dovrebbero essere Galan, Brunetta e Giorgetti, quanto agli altri, proprio il coordinatore Alberto Giorgetti ed il vicario Marino Zorzato hanno avuto mandato di «fare muro» contro l’invasione: «Siamo già stati abbondantemente penalizzati nel 2008 – chiosa il segretario veneziano Mario Dalla Tor – stavolta devono battere i pugni». Anche perché, aggiungiamo noi, stando ai sondaggi le poltrone in gioco sono quelle che sono. «Questa legge elettorale, purtroppo, è fatta apposta per i paracadutati – commenta il consigliere regionale Leo Padrin, che fino all’ultimo ha battuto come un martello per il ritorno alle preferenze – a questo punto non è tanto una questione di regole ma di coscienza civica: semplicemente non credo che la gente voterà per una lista che non rappresenta il territorio». Cieli più sereni nella Lega, che fedele ai motti autonomisti (almeno in questo campo) ha sempre rivendicato per ciascuna «nazione» la più ampia libertà di scelta e, saltando di là del fiume, nel Movimento 5 Stelle, dove le «parlamentarie» si sono svolte su rigorosa base regionale. Ampie rassicurazioni arrivano dall’Udc, dove i capolista dovrebbero essere Antonio De Poli nel Veneto 1 ed uno tra Ugo Bergamo e Gianna Galzignato in Veneto 2, e dall’Idv, che comporrà una lista unica con il movimento di Ingroia, Rifondazione, i Comunisti Italiani e «gli arancioni» di De Magistris: «Vedremo quanti posti ci daranno – taglia corto il segretario dipietrista Gennaro Marotta – di certo quelli che avremo non li serviremo su un piatto d’argento a gente venuta da fuori». Infine, la civica di Monti: l’addio di Santini, nome «nazionale» e «vicentino» al tempo stesso, è stato una brutta botta. Il rischio, adesso, è che al suo posto il Professore piazzi qualche nome di suo esclusivo gradimento. L’ha già fatto in Piemonte, dove candiderà i ministri uscenti Balduzzi e Profumo.
Corriere del Veneto – 8 gennaio 2013