E’ uno degli aspetti più drammatici della crisi: la gente non ha più soldi nemmeno per pagare il doppio ticket su visite ed esami (36,15 euro di base più 5 o 10 per la specialistica, a seconda di un reddito inferiore o meno ai 29 mila euro), perciò sempre più veneti scelgono di non curarsi.
L’allarme arriva dai medici, anche in base alla ricognizione della Regione, che nell’ultimo anno segnala una perdita di 2.276.236 prestazioni ambulatoriali, scese dalle 71.068.259 del 2011 alle 68.792.023 del 2012. Un crollo che si somma al -3% rilevato nel 2010 al 2011 e che aggrava il quadro, ben delineato dalle strutture più complesse. Il Cup dell’Azienda ospedaliera di Padova ha perso il 30% delle prenotazioni. «Le persone che vivono di stipendio faticano a pagare il doppio ticket — confermano gli operatori — perciò o rinunciano ad andare dal medico oppure si rivolgono al privato puro, dove tante prestazioni costano meno. Chi continua a usufruire in modo massiccio del Servizio sanitario regionale sono gli anziani, soprattutto per la Reumatologia, affiancati dalla novità dei cassaintegrati, categorie entrambe esenti. E quest’ultima conta pure molti depressi».
L’Usl 9 di Treviso accusa un calo del 15%-17%, soprattutto nelle branche non salvavita, mentre tengono le specialità «traccianti» (cioè di riferimento) come Cardiologia, Oculistica e Gastroenterologia. L’Usl 16 della città del Santo calcola un -2,7% (senza la parte del laboratorio), che significa 4.179.932 prestazioni nel 2011 contro i 4.064.610 del 2012. «A soffrire sono i centri convenzionati, mentre le nostre strutture tengono — rivela il direttore sanitario Domenico Scibetta —. Tra i motivi del segno negativo c’è anche la riforma del nomenclatore, che ha accorpato alcuni esami: prima venivano conteggiati come 5 o più, oggi valgono 1, perciò riducono la massa complessiva». L’Azienda ospedaliera di Verona accusa un -4,4% (da 327.722 visite specialistiche a 313.294), ridotto al -2,2% nell’Usl 20, che l’anno scorso ha erogato 4.068.553 prestazioni invece dei 4.123.702 del 2011, oltre a un -30% segnalato per gli ambulatori accreditati («Sono diminuiti gli esami inappropriati», è la lettura dell’azienda sanitaria). Non va meglio all’Usl 12 Veneziana, che negli ultimi due anni ha perso 89 mila prestazioni ospedaliere (da 687 mila a 598 mila) e 50 mila nei distretti (da 402 mila a 347 mila). «E’ disperante, la gente non si cura più perchè non ha i soldi — accusa Giuseppe Cicciù, presidente regionale del Tribunale del Malato — oppure va a intasare gli ambulatori aperti dalle associazioni caritatevoli per i poveri e gli extracomunitari in difficoltà: gli accessi sono aumentati del 200%. Abbiamo chiesto una soluzione alla Regione, ma la priorità va al pareggio di bilancio, quindi non vediamo vie d’uscita». «Eppure il problema c’è, a tutti i livelli, ne risente anche la libera professione dei medici — sottolinea Salvatore Calabrese, segretario regionale dell’Anaao, sindacato degli ospedalieri —. Ma non è quest’ultima a preoccuparci, i camici bianchi hanno comunque uno stipendio e chi non può più permettersi la visita a pagamento andrà col ticket. E’ chi non riesce a versarlo a impensierirci, perchè salta diagnosi e controlli, con grave danno personale e alla salute pubblica».
Gli ambulatori accreditati tendono una mano agli utenti bisognosi delle terapie più costose, per esempio cicli di 10/20 sedute riabilitative, concedendo il pagamento a fine mese o rateizzato. Però soffrono, precisa Anisap, sigla dei convenzionati: le prestazioni di Radiologia sono calate a 318 mila da 377 mila; 2.522.000 quelle di fisiokinesiterapia contro i 2.793.000 del 2011; gli esami di laboratorio sono passati da 4.042.000 a 3.282.000. «In compenso i nostri carichi di lavoro negli ultimi sei anni sono cresciuti del 40% — annuncia Silvio Regis, segretario veneto della Fimmg (medici di base) — se prima c’era la tendenza a scavalcarci per rivolgersi direttamente allo specialista, oggi i pazienti vogliono essere curati da noi, a casa, e con farmaci poco costosi. Siamo rimasti l’unica ancora di salvezza sanitaria e se ciò ha rinsaldato il rapporto di fiducia con gli assistiti, ci impone pure di dedicare loro molto più tempo. Anche per una parola di conforto, un sostegno psicologico, un consiglio. Il nostro ruolo sta inglobando il sociale». «Per di più salgono le richieste di esenzione e di invalidità civile — aggiunge Domenico Crisarà, vice regionale — è una battaglia quotidiana. E noi siamo in prima linea».
E la Regione perde il 10% degli incassi
Assessore Luca Coletto, responsabile della Sanità, il Tribunale del Malato le chiede di aiutare chi non può pagare il ticket.
«Eh, ci stiamo scervellando per trovare una soluzione a un pasticcio creato nel 2007 dal governo Prodi, che ha introdotto i 10 euro sulla specialistica. Novità, congelata dal ministro Livia Turco ma ripescata da Giulio Tremonti, che danneggia i pazienti e anche le casse delle Regioni».
Cioè?
«Lo Stato avrebbe dovuto corrispondere alle Regioni per la sanità 2 miliardi di euro, dei quali 60 milioni al Veneto, ma siccome non li aveva ci ha detto: incassateli col nuovo ticket. Non solo non ci ha dato denaro cash ma ha pure imposto un secondo balzello, che ha sottratto al Sistema sanitario nazionale migliaia di utenti, molti dei quali secondo me passati al privato puro, spesso più conveniente. Risultato: l’incasso del ticket è sceso dai 198.461.502 euro del 2011 ai 178.433.861 del 2012. Ecco il male».
Sempre più veneti non si curano.
«Io credo che il crollo di prestazioni sia dovuto anche all’aumento degli utenti del privato puro, come detto, e a una migliore appropriatezza prescrittiva. La stessa rilevata nella farmaceutica, capace di risparmiare 70 milioni nel 2011 e altri 60 nel 2012, nonostante le prescrizioni siano cresciute».
Resta il problema di chi salta diagnosi e controlli.
«Eh sì. La situazione è seria, il non curarsi aggrava ulteriormente la crisi del Paese. Il governo dovrebbe garantire una sanità universalistica e tutelare i più deboli, invece l’Italia è al penultimo posto in Europa per il finanziamento di settore. E per di più ci vendono una tassa che le Regioni non sono sicure di incassare, come dimostrano i 20 milioni persi dal Veneto in un anno. Non è facile per noi rimediare al disastro di Roma, soprattutto finchè chi sta là non capisce che la sanità, se ben gestita, non è un costo ma una risorsa».
Quando era assessore alla Sanità, Flavio Tosi riuscì a bloccare il balzello dei 10 euro, coprendolo con i soldi del bilancio.
«Sì, con quelli dell’Irpef, imposta che ora non c’è più e che non possiamo certo reintrodurre per tamponarne un’altra. No, il problema è complesso, abbiamo anche chiesto di poter concedere il pagamento rateizzato dei ticket ai meno abbienti, ma la legge nazionale non lo permette. Ripeto, i nostri tecnici sono al lavoro per capire come rimediare all’errore dello Stato (che tra l’altro ha gonfiato pure l’evasione del ticket, ndr), ma è ardua impresa. E alla lunga il male fisico di tanta gente diventa anche disagio psicologico, aggiungendo dolore al dolore e costi ai costi».
Michela Nicolussi Moro – Corriere del Veneto – 10 aprile 2013