Dati scomparsi a Padova. Padrin: «Oggi porto il caso in Commissione sanità». Doveva essere lo strumento utile sia alla ricerca scientifica che alla Regione: avere una mappa epidemiologica dei tumori serve per fare programmazione sanitaria e di sviluppo industriale e serve anche per i cittadini che hanno diritto di sapere lo stato di salute del paese in cui vivono.
Lo strumento voluto dal ministero e finanziato cinque anni fa dalla Regione c’è, si chiama Registro dei tumori, ma non funziona: la mappatura riguarda meno della metà della popolazione, alcuni ospedali non forniscono ancora i propri dati, tra cui quello di Padova. E, andando a scavare, si scopre che la ragione di questo ko tecnico starebbe in un rapporto particolarmente «teso» tra l’organo che fornisce i dati e quello che li dovrebbe elaborare.
All’origine del «gap» tra l’ospedale di Padova e lo Iov, ente di coordinazione e gestione dei dati forniti dalle Usl, ci sarebbero delle acredini tra Masismo Rugge, direttore di anatomia patologica a Padova e Paola Zambon, l’epidemiologia che fino al primo dicembre scorso era a capo del registro tumori del Veneto presso lo Iov. O almeno questa è la versione riportata dagli stessi dipendenti del Registro, e che rischia di creare un polverone. «Domani (oggi per chi legge ndr) porteremo il caso in commissione sanità – dice Leonardo Padrin, presidente della commissione salute in Regione – se è una questione organizzativa va risolta, se ci sono altre responsabilità c’è qualcuno che deve risponderne». Anche l’assessore alla sanità Coletto ha chiamato la direzione dello Iov per chiedere conto di questo ritardo.
Ieri pomeriggio siamo andati a visitare la sede del registro tumori: un ufficio in galleria San Gaudenzio a Padova, in cui lavorano 16 persone pagate dallo Iov per creare la mappa epidemiologica dell’intera regione, ma anche al momento copre meno della metà della popolazione. Ed è qui che quello che sembrava solo un sospetto, trova conferma nella realtà. «I rapporti tra Zambon e Rugge non sono per niente buoni» fa sapere uno dei ricercatori. Il motivo? Ignoto. Da un lato Rugge dice di raccogliere dati e informazioni sui tumori e di spedirli allo Iov («Non so proprio perché lo Iov non faccia uso dei codici che spedisco regolarmente» dice il primario di anatomia patologica 1 e 2). Dall’altro lato alla professoressa Zambon queste informazioni non sono mai arrivate. Raggiunta al telefono, taglia corto e consiglia di sentire la direzione dello Iov che però preferisce il silenzio. E mentre la patata bollente passa da una mano all’altra ancora non si capisce dove sia il buco nero che ingoia tutto. Non si capisce per esempio perché strutture ospedaliere come quelle di Arzignano, della Bassa veronese, del Veneto orientale, ancora non siano messe nelle condizioni di collaborare. Ad una (ennesima) richiesta di chiarimenti fatta l’anno scorso dal gruppo dell’Idv in Consiglio, l’assessore Luca Coletto rispose che i dati, quelli padovani in particolare, erano fermi per una questione di privacy. Eppure Rugge, che in modo molto diplomatico esprime disappunto per la gestione-Zambon, difende il suo lavoro. Ma qualcosa non torma: «Le pare che se avessimo i dati di Padova li terremmo nascosti? – risponde invece il ricercatore che lavora al Registro – è chiaro che c’è qualcosa che non va».
Eppure sarebbe importante sapere se un cementificio, una centrale a carbone o a metano, una filiera aziendale (come quella delle concerie del Vicentino) sono dannose per la salute. Lo è sia per i cittadini che pagano sulla loro pelle, che per le scelte di sviluppo industriale di cui la politica dovrebbe tener conto.
Roberta Polese – 10.01.2013 – Il Corriere del Veneto