Dopo che la Corte di giustizia Ue ha ribadito il divieto di commercializzare varietà tradizionali non catalogate. Biodiversità penalizzata: la Provincia mira a consorzi che tutelino le produzioni tipiche
Un´occasione mancata. La sentenza della Corte di giustizia europea che a luglio ha ribadito il divieto di commercializzare sementi di varietà antiche e tradizionali non iscritte al catalogo ufficiale europeo ha di fatto impedito che si aprisse finalmente la possibilità di creare regole nuove non solo per il loro commercio, ma anche per valorizzare la biodiversità. E lo dicono all´unisono il commissario straordinario della Provincia di Vicenza Attilio Schneck e Maurizio Bressan, dirigente dell´ente per il settore agricoltura e a capo dell´Istituto di genetica e sperimentazione agraria Strampelli di Lonigo, la banca del germoplasma dove sono conservate ben 600 sementi che raccontano la storia della nostra agricoltura.
«L´orientamento europeo – spiega Schneck – è nella logica di mantenere grandi produzioni che danno resa e guadagno e che sono in mano alle multinazionali. Il prodotto di nicchia non ha attrattiva dal punto di vista economico. Sono per la liberalizzazione del commercio di queste sementi tradizionali, pur nella tutela delle produzioni locali, ed è in questo senso che la Provincia sostiene il lavoro dell´Istituto Strampelli e vuole favorire la nascita di consorzi che tutelino produzioni tipiche. Ma legislazione europea va in senso inverso. Il nostro Governo dovrebbe intervenire». Parole alle quali fanno eco quelle del capo dell´Istituto provinciale.
«L´istituto Strampelli – spiega Bressan – è stato il primo in Italia a chiedere l´iscrizione di alcune sementi nel registro nazionale delle varietà da conservazione e quindi in quello europeo. Ma ormai è passata una decina d´anni e non è accaduto nulla e questo significa che per certi tipi di colture possiamo solo effettuare sperimentazioni, ma non si possono coltivare. Di fatto la varietà da conservazione, una volta registrata, per la commercializzazione segue le stesse regole delle varietà ordinarie. È questo che bisogna cambiare: gli agricoltori devono avere il diritto di commercializzare le varietà da conservazione. A livello nazionale esiste poi un registro delle produzioni tipiche tradizionali che semplicemente le riconosce, ma anche in questo caso non vale per la commercializzazione». «Lo Strampelli – aggiunge Schneck – è nato grazie anche all´intuito politico degli amministratori vicentini che hanno voluto preservare il patrimonio genetico delle nostre colture e promuovere la biodiversità, ma senza una legge ´ad hoc´ per queste sementi l´Istituto è come un museo e si limitano le coltivazioni di ciò che è un nostro patrimonio agronomico».
Ma come ci si regola per tutte le produzioni tipiche, dal broccolo fiolaro di Creazzo, il fagiolo di Posina o il Mais Marano pure iscritte alla banca del germoplasma?
Esistono, spiega Bressan le varie tutele delle procedure Dop, Doc eccetera, ma per il nostro mais Marano si è seguita una procedura che non è quella delle sementi tradizionali. «In pratica – sottolinea il responsabile dell´Istituto Strampelli – per consentirne la produzione e la commercializzaione il Marano è stato iscritto al registro ordinario delle varietà commerciali. Certo, c´è un consorzio che ne tutela la produzione e che nello statuto definisce anche i Comuni dove può essere coltivato».
Ma è sufficiente? «La resa del mais Marano – riprende Schneck – non è tale da ingolosire le multinazionali, ma ufficialmente non è un coltura tradizionale e a tutti gli effetti se una multinazionale acquistasse il brevetto dal consorzio potrebbe commercializzarlo ovunque…».
Eppure l´interesse storico della banca dei semi dello Strampelli sta per essere riconosciuto dal Ministero dei beni culturali. Che cosa comporterà ai fini pratici? «È un bel riconoscimento – concludono Schneck e Bressan – ma avrà lo stesso effetto di una medaglia…».
Il Giornale di Vicenza – 24 agosto 2012
Allo Strampelli custodite più di 600 varietà di semi
Sono 600 le varietà di sementi custodite allo Strampelli e solo per alcune di queste è stata chiesta l´iscrizione come varietà da conservazione al registro nazionale varietale e quindi, automaticamente, a quello europeo. Si tratta di varietà locali di frumento, farro e mais minacciate di erosione genetica: per il frumento tenero le varietà Piave, Cologna, Guà, Canove; per il farro le varietà Monococco Hornemanni, Dicocco Aristato Rossi, Spelta Album; per il mais il Biancoperla e lo Sponcio. Come spiega Silvio Pino dell´Istituto di genetica sperimentale della Provincia il registro è unico e prevede due tipi di iscrizione: «L´iscrizione come varietà da conservazione è semplificata rispetto all´iscrizione ´ordinaria´ (ovvero di sementi ottenute attraverso gli attuali programmi di miglioramento genetico) e mentre la procedura “ordinaria” ha un costo variabile da specie a specie e che nel caso del frumento e mais è pari complessivamente a circa 4-5mila euro, l´iscrizione come varietà da conservazione è gratuita in quanto non è prevista, in linea di massima, la realizzazione di prove descrittive o agronomiche e chiunque, in possesso di un minimo di capacità tecnica, può presentare una domanda previo parere favorevole della Regione di appartenenza. Al momento della presentazione della domanda di iscrizione si deve indicare anche la zona di origine della varietà e l´ambito territoriale di commercializzazione. Quest´ultima deve coincidere con la zona di origine, eventualmente allargata alle zone limitrofe. Non è possibile la commercializzazione al di fuori di tali ambiti territoriali (non si può commercializzare in Francia o in Sicilia una varietà da conservazione il cui ambito territoriale sia il Veneto). La commercializzazione è inoltre sottoposta a precisi limiti quantitativi in relazione alla diffusione della specie nel paese di appartenenza. Una volta ottenuta la registrazione come varietà da conservazione, la commercializzazione di fatto segue le medesime procedure utilizzate per le varietà ordinarie. A livello teorico – conclude – anche un singolo agricoltore potrebbe commercializzare il seme di una varietà da conservazione purché in possesso dei requisiti minimi previsti dalla legge che è attualmente in fase definizione da parte del Ministero delle politiche agricole».
23 agosto 2012