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Veneto, nell’uovo c’è una brutta sorpresa: i Pfas. Controlli in tutta la regione per verificare i danni prodotti dallo sversamento delle molecole (utilizzate anche per le pentole e il kway)

dal Venerdì di Repubblica. Sono due immagini a cui bisognerà far l’abitudine: un uovo (che rappresenta l’inizio della storia) e 109 mila aghi. Tanti quanti ne occorrono per scoprire cosa scorre nelle vene di altrettanti cittadini compresi nella fascia di età 14-65 anni. Uno studio complesso che si protrarrà fino al 2026, impiegando un’apposita task force di tecnici sanitari, ambientali e agricoli. Ed anche uno sforzo economico: 100 milioni di euro l’anno per dieci anni per capire quanti danni potrebbe aver provocato in quei corpi l’inquinamento da Pfas. E nel futuro del Veneto.

Pfas sta per impermeabilizzanti perfluoro-alchilici. Un business miliardario grazie ai poteri anti-aderenti di queste molecole che consentono di impermeabilizzare indumenti come il kway, far scorrere liquido nei freni dei jet, produrre anestetici e colliri e cucinare con pentole antiaderenti. Il problema però è capire dove e come il sistema industriale lo scarica i residui. Il sospetto è che finisca nelle falde acquifere. Non a caso le indagini sanitarie in corso hanno già individuato contaminazioni in 485 siti della rete idrica veneta.

La storia parte da lontano: dal 2009, anno in cui la Convenzione di Stoccolma inserisce i Pfas nella lista degli «interferenti endocrini»: quelli che, resistendo a oltranza nell’ambiente, restano «per secoli» potenziali agenti patogeni di tumori all’apparato endocrino, gravidanze a rischio, fino all’Alzheimer. In uno scenario del genere, quel primo e imponente numero di soggetti a rischio, ovvero i 109 mila cittadini distribuiti tra le province di Vicenza, Verona e Padova documentato il 27 maggio scorso dalla Regione Veneto, ha dato alcune certezze e svelato paure. Nonostante l’impiego immediato dei filtri a carbone che hanno fatto tornare potabile l’acqua dei 24 comuni veneti contaminati. Senza però dissipare la sensazione di vivere dentro un disastro ambientale. E qui torna, per quanto possa apparire strano, protagonista l’uovo. Quello in questione viene prelevato lo scorso autunno dal personale sanitario in un pollaio di Cologna Veneta, in provincia di Verona. Una volta esaminato, si scopre che è contaminato da 21,2 microgrammi di Pfas. Una mazzata in un paese dove con le uova producono il mandorlato, prelibatezza nota sin dai tempi della Repubblica Serenissima, e dove, per ironia della sorte, è attivo un circolo di Legambiente, il Perla Blu, da sempre sulle barricate contro i Pfas. Da quel momento cominciano ad affiorare alcune fondamentali verità e qualche dubbio: gli esami dell’Arpav in corso dal 2013, e l’idea che le ragioni dell’inquinamento siano in qualche modo collegate ad una «fonte» che molti indicano nella Miteni, industria chimica che ha il proprio stabilimento aTrissino, in provincia di Vicenza.

A imprimere il definitivo coup de théâtre a una vicenda così annosa e complessa, ci pensa un testimonial autorevole: «Fra le potenziali vittime ci sono anch’io» conferma Domenico Mantoan, direttore sanitario della Regione Veneto «proprio io che ho sempre detto di non aver paura di bere l’acqua pubblica, salvo poi scoprire di avere 248 nanogrammi di Pfas per grammo di sangue, quando il limite previsto è 4 nanogrammi. Risulto infatti fra i più contaminati nell’elenco dei primi 500 cittadini testati nei mesi scorsi». Il dottor Mantoan è vicentino di Brendola, uno dei 24 comuni colpiti dai Pfas, e a venti chilometri da Brendola si trova la Miteni. Nata una cinquantina di anni fa, quest’azienda chimica da 130 dipendenti, inglobata nella multinazionale Icig, dall’inizio del Duemila, commercializza Pfas. In America, più o meno in quello stesso periodo, il caso è già esploso. È il teflon delle pentole, ricavato da Pfas a molecola lunga (i Pfos e i Pfoa).

L’Epa, massima autorità sanitaria americana, smaschera il maxi-inquinamento, provocato nello stato dell’Ohio (Usa) dagli stabilimenti della DuPont, all’epoca leader mondiale nelle vendite di teflon. Il risultato? Mentre la DuPont patteggia una multa da centinaia di milioni di dollari, dal 2005 la produzione di Pfas viene proibita negli Usa, sulla base dello studio dell’agenzia C8 Health Project. Il pericolo sono patologie come il tumore al rene o l’ipertensione in gravidanza.

L’ematologo Vincenzo Cordiano, presidente della sezione di Vicenza dell’Isde, associazione dei medici per l’Ambiente, ricostruisce: «Abbiamo trovato eccessi di mortalità significativi per malattie tumorali e non tumorali e abbiamo scoperto che la Miteni era l’unica azienda della zona che produceva le sostanze che li provocavano. C’è anche il problema dell’acqua: da un punto di vista medico non si può bere. La cosa migliore sarebbe sospendere l’erogazione e fissare i limiti di legge dei Pfas». A causa di quest’inchiesta, la Miteni, che negli anni ’70 era stata al centro di indagini ambientali, torna a far parlare di sé. Allora l’accusa fu aver scaricato quantità di erbicida nelle reti idriche. Oggi, come allora, il luogo simbolo è la falda acquifera di Trissino.

Alle accuse replica Antonio Nardone, nuovo amministratore delegato di Miteni, pronta a impegnarsi in un piano di bonifica da 30 milioni di euro. «Dal 2005 l’azienda ha già investito quasi 15 milioni per la salvaguardia dell’Ambiente, dotandosi ad esempio di un impianto a “co-polimeri” con cui drenare il 90 per cento delle sostanze Pfas. Inoltre, in Miteni, dal 2013 non si producono più Pfos e Pfoa, ma solo Pfas a molecola corta, molto meno impattanti». Secondo Loredana Musmeci, direttore del Dipartimento ambiente dell’Istituto superiore della Sanità, «attualmente non abbiamo alcuna prova di effetti cancerogeni dei Pfas».

Rassicurazione legittima, ma resta quell’avverbio, «attualmente», riferito a sostanze che la scienza, definisce «persistenti», in grado di resistere anche per secoli nell’ambiente. Nel frattempo, in 24 comuni ci si prepara ai primi 109 mila aghi per analisi di massa, «Da quasi quarant’anni monitoro periodicamente i dipendenti della Miteni» racconta Giovanni Costa, medico del lavoro «e da sempre rilevo concentrazioni di Pfas sopra la media, accompagnate dal colesterolo alto».

«Comunque la si pensi, i Pfas si aggiungono a smog e cemento nella distruzione del territorio veneto», rileva Verena Reccardini, segretaria provinciale Filtchem della Cgil di Vicenza «consigliandoci nuovi modelli di sviluppo, basati sulla sostenibilità ambientale».

Il Venerdì di Repubblica – 17 giugno 2016 

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