di Filippo Tosatto. Le escavazioni di nuovi pozzi sul tratto del Brenta che corre tra Bassano e Cittadella proseguiranno indisturbate. Nonostante le proteste di sindaci e comitati, che hanno esibito ottomila firme favorevoli allo stop dei lavori, in serata il Consiglio regionale, riunito in seduta straordinaria, ha bocciato la mozione di Pd e M5S che sollecitava il blocco dei cantieri e il ripensamento dell’intero progetto: 23 “no” di Lega e centrodestra, 13 i “si” dell opposizione mentre il gruppo tosiano ha scelto il “non voto”.
Il punto di partenza è l’accordo di programma del 14 novembre 2014 sottoscritto da Regione, comuni attraversati dal fiume – Nove, Cartigliano, Pozzoleone, Tezze, Piazzola, Carmignano. Cittadella, Fontaniva, Bassano, San Pietro in Gu, Gazzo – Province di Padova e Vicenza, Consorzio di bonifica Brenta, spa Veneto Acque e società Etra. Un patto che prevedeva l’escavazione di complessivi nove pozzi capaci di attingere acqua dal Brenta per rifornire le zone del Veneto in difficoltà idrica: all’epoca il Basso Polesine, ora anche l’Ovest vicentino e parte della Bassa padovana contaminati dai Pfas; tali pozzi sono stati tarati su una capacità iniziale di 500 litri al secondo, con la possibilità di elevarli progressivamente a 950 previa verifica sulla “tenuta” delle falde; all’impresa che si è aggiudicata l’appalto (la spesa ammonta a 6 milioni di partenza più 800 mila l’anno di qui al 2023) è stata concessa in via compensativa l’estrazione della ghiaia di risulta, 100 mila metri cubi a Carmignano, 600 mila tra Cittadella e Fontaniva.
I lavori, tra le proteste, sono già iniziati, con l’abbattimento degli alberi spondali e lo sbancamento dell’area destinata a cantiere. E ora molti sindaci chiedono un passo indietro, convinti che le escavazioni provocheranno l’abbassamento dell’alveo fluviale. In aula, bocciata la richiesta di proiettare un video dei comitati sugli effetti delle escavazioni («II regolamento non lo consente», ha sentenziato il presidente Roberto Ciambetti), il dibattito è stato innescato dal dem Piero Ruzzante, primo firmatario della mozione: «Questa operazione, superata nelle dimensioni e forse inutile, provoca un impatto inaccettabile su un habitat di straordinaria bellezza. Se è giusto provvedere alle esigenze idriche dell’intera popolazione, lo è altrettanto recepire l’istanza di un territorio che si scopre devastato. Il Brenta merita un parco fluviale, non le ruspe». Drastico anche l’intervento di Manuel Brusco dei 5 Stelle: «L’accordo di programma mirava a migliorare la morfologia del Brenta, non a devastarlo. Mancano seri monitoraggi sui livelli di falda, si vuole estrarre una quantità spropositata d’acqua dopo aver fatto strage della flora fluviale. È uno scempio». Critiche anche da Claudio Sinigaglia e Andrea Zanoni del Pd, che hanno sollecitato una rivisitazione «concordata» del progetto, difeso invece da Sergio Berlato di Fratelli d’Italia («Basta con il terrorismo ideologico di ambientalisti e aninalisti»); Maurizio Conte e Marino Zorzato, invece, hanno sollecitato, senza esito, un piano finanziario di investimenti nella tutela ambientale congiunto all’opera. L’ultima parola l’ha pronunciata l’assessore all’ambiente: «II nostro sistema di acquedotti ha come priorità la difesa della salute dei cittadini», le parole di Gianpaolo Bottacin «l’acqua prelevata del Brenta è di buona qualità, viene sottoposta a costante monitoraggio e serve molti bacini del Veneto; gli scavi, voglio precisarlo, non riguardano l’alveo bensì l’area golenaie. Questo progetto è stato firmato da tutti i soggetti coinvolti, se ora qualcuno vuole stravolgerlo – magari spinto da scopi elettorali – dovrà fornire un’alternativa e indennizzare l’impresa vincitrice dell’appalto. Noi non lo faremo, siamo disposti ad esaminare aggiustamenti, non ad abbandonare gli obiettivi. Il mio “no” alla mozione è netto e convinto».
Il Mattino di Padova – 26 maggio 2016