Il promotore Padrin furioso, partiti divisi. Passa (e vale subito) pure la doppia preferenza di genere. C’è chi si appella alla realpolitik , spiegando che l’alternativa al compromesso era il nulla cosmico, e chi liquida il tutto come «una colossale presa in giro», «una porcheria».
Tant’è, il fatto nudo e crudo è questo: dopo aver tentato di insabbiare la discussione sulle proposte di modifica alla legge elettorale per le Regionali, argomento delicatissimo visto che tra quattro mesi si vota, la commissione Affari istituzionali si è riunita ieri in fretta e furia e, per rintuzzare le polemiche, ha prima discusso i cinque disegni di legge in ballo e infine approvato una «soluzione di sintesi», che andrà in aula già la prossima settimana. Cosa prevede? Accanto all’aggiustamento tecnico scritto dalla giunta (col voto disgiunto si rischiava di eleggere il candidato presidente della coalizione più votata, anziché quello più votato in assoluto) ci sono due novità: la doppia preferenza di genere voluta dal Pd e il limite di due mandati chiesto dal forzista Leonardo Padrin. Ma proprio su quest’ultimo punto, il più scivoloso visto che investe 27 consiglieri uscenti, si è optato per un escamotage, necessario dopo che in mattinata si era consumato un infuocato vertice di maggioranza: il limite sarà sì applicato, ma non immediatamente e retroattivamente, come preteso da Padrin, bensì dalla prossima legislatura in avanti. Il che significa che produrrà i primi effetti nel 2025 (per dire: oggi siedono in aula consiglieri eletti per la prima volta nel 1995 che nel 2025 potrebbero vantare una trentennale esperienza in laguna).
Ora, se è vero che il principio è comunque passato, e prima o dopo i «professionisti della politica» dovranno abbandonare Palazzo Ferro Fini, è però altrettanto vero la che carica esplosiva della legge Padrin è stata abilmente disinnescata, come riconosce lo stesso autore (astenutosi con Pettenò di Rifondazione, Marotta dell’Idv, Furlanetto di Prima il Veneto e Valdegamberi di Futuro Popolare): «Non finisce qui e io sono paziente e tenace. Questa soluzione la trovo onestamente offensiva per cui quando la legge arriverà in aula presenterò un emendamento teso a ripristinare la retroattività e l’immediata esecutività previste nel disegno originario. Non posso sopportare che ci siano colleghi che a quattrocchi mi danno ragione e poi al fischio del padrone fanno dietrofront: non vogliono il limite? E’ legittimo ma non si nascondano dietro ad un dito, lo dicano chiaramente in aula». Quanto ai dubbi espressi dall’ufficio legislativo, secondo cui la retroattività violerebbe il diritto all’elettorato passivo e sarebbe incostituzionale, Padrin tira dritto: «Ho dei pareri che dicono il contrario, li fornirò ai colleghi». E se l’Idv evidenza come il testo uscito dalla commissione consenta di sommare dieci anni come consiglieri, dieci anni da assessore e pure dieci anni da governatore, con ciò favorendo «i furbetti del poltronificio», anche nella Lega non mancano le voci critiche, su tutte quella di Nicola Finco, che parla di «un’autentica porcheria, una follia di fine legislatura». Perché? «Applicare il limite dal 2025 è come dire che ci taglieremo lo stipendio nel 2050: non ha senso, anche perché per quel giorno le Regioni saranno state abolite. Quanto alla doppia preferenza di genere, è un gran bel regalo al Pd alla vigilia delle elezioni». Il sospetto, in effetti, viene nel leggere il commentario seguito alla commissione. Dai partiti del centrodestra arriva un silenzio tombale. Nel Pd, invece, è tutto un tintinnare di calici: «La doppia preferenza di genere è una grandissima vittoria del nostro partito – dice il firmatario dell’emendamento Piero Ruzzante – aumenterà la presenza femminile in un consiglio che oggi conta appena 3 donne su 60 consiglieri. I veri innovatori siamo noi». Seguono Roger De Menech, Stefano Fracasso, Franco Bonfante, Raffaella Salmaso. «Finalmente anche il Veneto potrà allinearsi alle altre Regioni che riconoscono la rappresentanza politica femminile come un caposaldo importante di democrazia» plaude Simonetta Tregnago, presidente della Commissione Pari opportunità.
Marco Bonet – Il Corriere del Veneto – 15 gennaio 2015