Spending review: dopo aver «licenziato» i presidenti delle Province, ora si profila l’addio ai baby-vitalizi dei consiglieri regionali, incassati a 55 anni e dopo una sola legislatura. La spada di Damocle pende sulla testa di 30 dei 60 consiglieri di palazzo Ferro Fini: chi è stato eletto nel 2010 deve sperare nella riconferma del 2015 per poter incassare l’assegno, ma solo a 66 anni.
È questo l’effetto più dirompente del decreto taglia-sprechi varato dal governo Monti, che impone una drastica riduzione ai costi della politica: oggi a Roma la Conferenza delle Regioni incontra Antonio Catricalà, sottosegretario alla presidenza del consiglio, proprio per definire le nuove indennità dei consiglieri regionali. Lo stipendio sarà uguale per tutti gli eletti d’Italia o le cinque regioni a statuto speciale riusciranno a salvare i loro privilegi? In Sicilia, un «deputato» dell’Ars guadagna oltre 17 mila euro il mese, contro i 9 mila di un collega del Veneto ma questa iniqua sperequazione non farà parte della trattativa. «Sono appena arrivato a Roma dove mi attende un tour de force di tre giorni: giovedì sera firmeremo l’accordo tra le Regioni e mi auguro che l’indennità sia uguale per tutti. Senza voci accessorie delle diarie e rimborsi spese forfettari. Non ha alcun senso opporre resistenze perché il governo entro il 30 ottobre deciderà d’imperio», spiega Clodovaldo Ruffato, presidente dell’assemblea veneta. Persa la battaglia sulle Province, ridotte da 7 a 5 dal ministro Patroni Griffi, il centrodestra che governa nei due splendidi palazzi in riva al Canale Grande si trova a fare i conti con la scure di Monti e il malumore dei «peones» rischia di esplodere in rivolta istituzionale. Gli ultimi privilegi stanno per essere cancellati, anche perché il governatore Luca Zaia ha giocato d’anticipo e ridotto da 60 a 51 le poltrone con la riforma dello Statuto: 9 «onorevolini» dovranno restare a casa. Ma cosa prevede il dl 174? Il taglio dei costi della politica si applica a più livelli. In primis con la drastica riduzione delle poltrone, poi con il taglio delle indennità di assessori e consiglieri e con il divieto di cumulo delle cariche e dei compensi elargiti dalle commissioni; con la riduzione dei finanziamenti ai gruppi consiliari e con i nuovi limiti ai vitalizi dei consiglieri. Il nodo della riforma resta l’indennità, che dovrà essere quella della Regione più virtuosa: in gara ci sono Abruzzo, Umbria ed Emilia Romagna. Oggi la busta paga di un consigliere regionale del Veneto è così composta: 7.607 euro di indennità di carica; 877 di indennità di funzione; 910 di diaria variabile; 2100 euro di diaria fissa. Fatti i conti, al netto delle detrazioni fiscali e previdenziali (1450 euro per il vitalizio) e di altri 1500 versati al partito, Antonino Pipitone (Idv) a settembre 2012 ha incassato un assegno di 5.131 euro, cui vanno sommati altri 2100 euro di rimborso spese forfettari. Sono tanti o pochi 7 mila e 300 euro al mese? «A me basta che decidano una cifra uguale per tutti», afferma Leonardo Padrin (Pdl), «sarebbe il primo vero atto di unità d’Italia dai tempi di Garibaldi. Sono 5-6-7 mila euro: non discuto, ma pretendo vera omegeneità. C’è poi un secondo elemento nella riforma del governo Monti: il taglio dei contributi ai partiti, che viene ridotto del 50 per cento. Mi pare una scelta sacrosanta, soprattutto per i gruppi monopersonali. I contributi dovrebbero essere sempre proporzionali ai numero degli eletti e ritengo un errore regalare 200 mila euro l’anno a chi litiga con il partito che l’ha eletto e poi si mette in proprio. Ma quale democrazia. Troppo facile incassare 1 milione di euro in cinque anni in questa maniera: qui non ci vuole la forbice, ma la mannaia», conclude Padrin. Il dl 174 infatti prevede che i contributi ai gruppi consiliari e ai partiti «siano ridotti della metà». In Veneto significa passare da 5 a 2,5 milioni di euro, anche se il presidente Ruffato si affretta a precisare: «La norma vale al netto delle spese del personale dei gruppi: quei 5 milioni coprono anche gli stipendi di segretarie e addetti stampa. Faremo i conti e dimezzeremo il finanziamento ai partiti e sparirà anche il rimborso forfettario. Il Veneto è un modello in Italia perché abbiamo anticipato il decreto taglia costi e già ridotto da 60 a 51 i consiglieri: non prendiamo lezioni da nessuno», conclude Ruffato. Ultimo grattacapo: i vitalizi. Che scattano ai consiglieri ed assessori regionali che hanno compiuto i 66 anni e dopo aver ricoperto tali cariche, anche non continuativamente, per un periodo non inferiore ai dieci anni. Basta con le baby-pensioni: si passa al sistema contributivo e non si toccano i diritti acquisiti. Ma palazzo Ferro Fini come reagirà quando Ruffato porterà in aula la riforma? «Con disciplina e correttezza. Siamo veneti. La leggi si rispettano e si applicano. Sempre».
Il Mattino di Padova – 24 ottobre 2012