Numero chiuso, questione apertissima. E partiti in campo, per scambi di vedute opposte che si rinnovano di anno in anno e hanno in settembre il mese tradizionalmente caldo, decisamente definiti. Da un lato i figli del numero chiuso, gli studenti costretti a confrontarsi con filtri e sbarramenti all’accesso ai corsi di laurea che l’università ha alzato di riforma in riforma, fino alla formula dei «posti contati»: tradotto, migliaia di ragazzi che non potranno studiare quel che desiderano e dovranno ripiegare su altro.
Dall’altro i rettori, che, compatti, difendono quella scelta, ritenendo che serva proprio a «proteggere», rendendolo effettivo, quel diritto allo studio universalmente garantito che, per la grande maggioranza di chi sta sui banchi degli atenei viene invece incrinato dai lucchetti all’ingresso dei percorsi di studio.
Di nuovo (anche qui, però, la novità è piuttosto relativa) c’è che con gli studenti del «tutto aperto» si è schierato il presidente del Veneto. Stamattina, a Padova, poco meno di 2.500 studenti giocheranno la partita del test d’ingresso a Medicina e Chirurgia. I posti in palio sono 400, quindi i ragazzi con lo zaino colmo della logica dell’highlander Mel Gibson: «Ne resterà uno solo». Per uno che vince e lavorerà per camice bianco e bisturi, quattro dovranno guardare altrove. Duemila scontenti, nessuno sconto. Altri 2.500 subiranno identica sorte a Verona: stesso test, stesse aree di studio in palio, con 1.165 posti disponibili per 3.686 richiedenti.
A Padova, in mattinata, tre sigle del sindacato studentesco hanno organizzato una protesta di fronte al complesso Vallisneri, dipartimento di Biologia, sede dell’esame. Link Coordinamento, Unione degli studenti e Rete della Conoscenza ribadiranno il no al numero chiuso, rivendicando un diritto, a loro dire, negato. «Idealmente sarò con loro a protestare – le parole del governatore Luca Zaia – Chiedono l’ovvio, ciò che anch’io chiedo da novembre 2013: un’università aperta a tutti, diritto di studio uguale per tutti e selezione rigidissima fatta sugli esami, sulle medie voto, in una parola sulle capacità dimostrate, non sulla base di insulsi quiz».
Per la città del Santo gli studenti hanno in mante un flash mob che dovrebbe prendere forma verso le 11 del mattino. Nulla di violento, come si è augurato il presidente della Regione, che sugli sbarramenti ai corsi di studio ha parole nette: «Con il numero chiuso si rischia, anzi si è certi, che giovani meritevoli vengano esclusi semplicemente dal caso, mentre giustizia vorrebbe che tutti potessero partire alla pari per poi essere selezionati per come studiano e per i risultati che ottengono».
Tutto chiaro, allora? Nicola Sartor, rettore dell’università di Verona: «Liberalizzare gli accessi a tutti i corsi di laurea significherebbe dover decuplicare risorse che non abbiamo. Sarebbe poco serio nei confronti degli studenti ammetterli a dei corsi per i quali non ci sono né aule sufficienti né docenti». Ideale e reale: i conti si fanno secondo le tasche. Resta il problema del criterio di selezione: i test d’ingresso premiano i migliori o sono un giro alla roulette? «Il sistema di selezione – riprende Sartor -, che non è basato sul caso ma sul merito come previsto dalla nostra Costituzione, ci consente di mantenere standard di eccellenza e migliorarli per offrire ai nostri studenti un’esperienza di studio utile per gli sbocchi professionali».
Il filtro, insomma, è un primo indirizzo. Se l’obiettivo è formare ma anche preparare a una professione, l’università non fa altro che applicare in anticipo la regola del mercato: pochi posti, tanta concorrenza, avanti i più «forti». Gabriele Gazzaneo, Sindacato degli studenti di Padova, fra l’altro studente di Medicina, spiega perché tanti come lui non la pensino così. «In generale siamo contro lo strumento del numero chiuso. E’ un ostacolo al diritto di studio inteso in senso totale: limita le aspirazioni degli studenti e non è utile. E’ stato introdotto per motivi e problemi, quello dei limitati spazi all’interno delle università, che non ha risolto». Gazzaneo usa la «sbarratissima» Medicina come esempio. «Allo studente si può dire che con il numero chiuso c’è più sicurezza dal punto di vista degli sbocchi lavorativi. In realtà di più c’è solo il precariato, perché alla programmazione dello sbarramento in accesso segue il blocco delle scuole di specialità, quello delle assunzioni dettate dal piano sanitario regionale, infine il blocco del turnover nel pubblico sul piano nazionale».
Gli studenti che oggi scendono in piazza chiedono quindi che la materia «venga affrontata in maniera organica e che si tenga conto del sistema ateneo e sanitario nel suo complesso». Vale più o meno lo stesso per Economia: 1.396 iscritti a Venezia per 510 posti; Psicologia: 900 posti a Padova per 2.921 che vorrebbero entrare; Ingegneria e Scienze: 775 richieste a Verona, per 176 accessi. Non è un bel panorama, certo. Cambierebbe aprendo tutto? Giuseppe Zaccaria, rettore uscente a Padova, non fa sconti all’immaginazione: «È un’utopia pensare che l’apertura indiscriminata all’accesso ai corsi soddisfi il diritto allo studio degli studenti, al contrario rischierebbe di creare situazioni strutturalmente insostenibili e penalizzanti proprio per gli studenti stessi». Da Venezia, il parigrado Michele Bugliesi calpesta le stesse orme: «Chi amministra deve ragionare in modo pragmatico. Dobbiamo avere risorse sufficienti a garantire il diritto allo studio efficace ed efficiente, che è altrettanto sacro di quello universale».
In coda un’eccezione. Vox bovis, sindacato studentesco padovano, parla con la voce di Giuseppe Solazzo. «E’ utile che dall’università escano duemila laureati in Psicologia se il fabbisogno nazionale è tra cento e 150? Il principio del numero chiuso, secondo noi, è giusto nella misura in cui si unisca la richiesta di mercato alla disponibilità delle università». Oggi, intanto, c’è chi protesta .
Renato Piva – Il Corriere Veneto – 8 settembre 2015