Il presidente del Tar del Veneto, Bruno Amoroso, chiama il lettore sul podio della meravigliosa sala del Tintoretto alla Scuola Grande di San Rocco. «Eccellenza ministro della guerra, abbiamo opere in costruzione che trasciniamo da anni non mai terminate, e che forse terminate non saranno mai», comincia, leggendo una pergamena.
E poi racconta della «confusione causata dai frequenti ribassi che si apportano nelle opere vostre» e spiega che «le economie realizzate con tali sconti saranno immaginarie», perché portano poi l’impresario a pagare male gli operai, a usare materiali scadenti, a imbrogliare. «Ristabilite la fiducia, pagate il giusto prezzo dei lavori, non rifiutate un onesto compenso ad un imprenditore che compirà il suo dovere», conclude il testo, firmato dall’architetto Marchese di Vauban e datato 1693. «Una lettura molto istruttiva sul tema degli appalti pubblici e della necessità di riforme», l’aveva presentato Amoroso, che poi chiosa: «Speriamo che il monito possa essere raccolto». E Luca Zaia, presidente della Regione e primo degli ospiti-relatori dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tar, non si tira indietro. «Rispetto alla lettera che avete letto, nulla è cambiato – attacca Zaia – abbiamo difficoltà oggettive perché la normativa si contraddice e poi il massimo ribasso cresce con le riserve». Infine una battuta: «Ormai le imprese si presentano in cantiere più con gli staff legali che con i muratori». E citando un’efficace metafora del procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio, laddove ci sono tante porte che cigolano, «arriva qualcuno che dice di mettere l’olio», anche se poi – conclude Zaia rispondendo al presidente che aveva chiesto più moralità – «mi pare che di moralità ne serva anche ai funzionari, visti i casi recenti».
La relazione di Amoroso e le tabelle allegate hanno riassunto lo stato dell’arte della giustizia amministrativa veneta. E per l’ennesimo anno il dato principale è il continuo calo dei ricorsi: dai 1929 del 2013 si è passati a 1817 e a farne le spese sono soprattutto i ricorsi nel settore edilizio-urbanistico (da 519 a 476 in un anno) e quelli cosiddetti degli «enti pubblici in generale» (da 176 a 85). Colpa della crisi, ma anche – come ricordato da Amoroso e dal presidente dell’associazione degli avvocati amministrativisti Franco Zambelli – dai «costi spropositati», che arrivano fino a 6 mila euro per un ricorso su appalti oltre il milione. Crescono invece da 198 a 239 i ricorsi in tema di stranieri (permessi di soggiorno, espulsioni e altro), leggermente quelli sugli appalti stessi (da 176 a 183) e soprattutto quelli sull’ottemperanza delle decisioni: se nel 2012 i ricorsi di questo tipo erano appena 28, l’anno dopo erano cresciuti 94 e nel 2014 sono stati addirittura 141. «La riforma che attendiamo dovrà favorire la certezza del diritto e garantire l’effettività della sentenza, che oggi resta sovente senza concreto esito, a causa degli atteggiamenti ostruzionistici di talune amministrazioni», attacca Amoroso. Tanto che si è arrivati persino a ricorsi «al quadrato», cioè per chiedere di adempiere a una sentenza di ottemperanza già emessa. Quanto all’arretrato, i dati dimostrano che la pendenza è scesa da 9 mila a 8 mila ricorsi, ma l’avvocato Riccardo Alba, rappresentante degli Ordini, ha ricordato che ciò è avvenuto per i numerosi decreti di «perenzione», quando cioè sono trascorsi ormai 5 anni dal ricorso e la parte non ha più interesse a coltivarlo. «Una denegata giustizia»; ha detto Alba.
Il tema delle riforme è stato lungamente affrontato dal presidente, critico come tutti i magistrati su pensione a 70 anni, taglio delle ferie e responsabilità civile. Amoroso ha anche detto che sul fronte degli appalti bisognerebbe modificare quelle norme troppo stringenti sull’esclusione delle imprese. «Una trappola giudiziaria – dice – per mere imprecisioni o irrilevanti omissioni le imprese sono escluse dalle gare, pregiudicando lo stesso interesse delle stazioni appaltanti». Così come va riformato il project financing , anche perché – dice Amoroso – «il Tar deve contemperare le esigenze della legge con le concrete esigenze della vita economica e sociale della comunità». Il presidente ha quindi dedicato ampio spazio a spiegare la sentenza sul tema delle grandi navi a Venezia, che ha portato alla cancellazione dei limiti posti dal governo e dalla Capitaneria di Porto: «Dopo 10 mesi di sostanziale inattività sulla scelta della via alternative il Tar ha annullato i provvedimenti perché ci fossero nuovi interventi di seria salvaguardia dell’ambiente lagunare e della sfera economica e l’occupazione del porto, aspetti poco considerati».
Alberto Zorzi – Il Corriere del Veneto – 25 febbraio 2015