Maria Vittoria Adami. E il numero che lascia increduli: 47 bovini senza marca auricolare in stalla. La notizia del blocco dell’attività in un allevamento del Veronese, in seguito a un controllo della polizia provinciale, ha lasciato tutti di stucco nel settore: arrabbiati gli allevatori che pagano il fio per un solo comportamento scorretto; stupiti gli operatori per il numero di animali irregolari; pronta la politica a riprendere un tema annoso.
Lunedì gli agenti della polizia provinciale, accompagnati dal veterinario dell’Ulss 22, hanno trovato nell’allevamento 47 bovini sprovvisti del cartellino obbligatorio che si appone nell’orecchio dell’animale e che riporta i dati di provenienza e anagrafici e il codice identificativo. I dati sono registrati in una banca nazionale del ministero della Salute a garanzia della tracciabilità della filiera di carne e latte. Ma senza cartellino, che va applicato per legge entro il ventunesimo giorno dalla nascita dell’animale, non se ne conosce la provenienza. Il caso porta in luce diversi temi: la mancata certificazione d’origine degli animali (e della came), il traffico illecito o il furto di bovini, l’ipotesi che vi siano macelli disposti a lavorare carne non controllata.
«Per contrastare il fenomeno del mercato illecito di bovini vivi e delle loro carni è necessario applicare il Reverse charge, in modo che l’Ivava non sia pagata dall’intermediario, ma dall’acquirente finale», interviene il deputato Vincenzo D’Arienzo (Pd) che nel 2013 ha portato la questione all’ordine del giorno della Camera. «L’intermediario italiano gode di un regime speciale di Iva e acquista direttamente dal fornitore europeo i capi. Poiché l’Iva non è per lui detraibile deve versarla. L’esperienza dice che la frode consiste nel non versarla e, pertanto, quell’intermediario vende i capi a prezzi inferiori in concorrenza sleale e danneggiando gli onesti. A volte li acquista anche in nero».
La mancanza di marca auricolare sui bovini è in generale, per D’Arienzo, una diretta conseguenza di questa frode che toglie alle casse nazionali Iva per miliardi di euro all’anno. E un tema che la Guardia di finanza da tempo pone all’attenzione della politica. «Con il reverse charge, ovvero l’inversione contabile, questo non accadrebbe», continua D’Arienzo, «perché il sistema agisce a valle, non a monte, applicando l’Iva all’anello finale e non lascerebbe in mano a un intermediario disonesto l’imposta. Il quale, togliendogli l’occasione di lucro, non avrebbe più interesse a frodare».
Il Governo ha approvato l’ordine del giorno di D’Arienzo che chiedeva l’inversione contabile spiegando che si sono verificate frodi laddove «il commerciante, se assume la funzione di impresa cartiera (che acquista il bene e fa sparire le carte), pur ricevendo la fattura comunitaria ed emettendo la fattura all’allevatore acquirente, non versa l’Iva; l’inversione contabile non lascerebbe in mano al commerciante cartiera l’imposta. Con tale meccanismo, infatti, quest’ultimo emette fattura senza Iva e quindi non può truffare lo Stato in quanto non viene in possesso dell’imposta. L’acquirente agricoltore riceve quindi una fattura italiana senza Iva e la applica secondo la procedura».
«Nella provincia di Verona», conclude, «gli allevatori sono tanti. Fatti come questo li danneggiano, sia economicamente sia come immagine. I bovini del mercato nero, inoltre, non sono controllati. Ne va della nostra salute. Auspico che presto possa esserci la decisione. La tutela dei nostri allevatori onesti è un dovere, considerata l’importanza di questo comparto economico».
L’Arena – 16 luglio 2015