È stato un infermiere ad accorgersene, grazie alla sua esperienza. Diversi colpi di tosse che sono risuonati in modo sospetto in uno dei reparti più delicati del Policlinico di Borgo Roma, la Terapia intensiva neonatale. Vi ha riconosciuto i sintomi di una malattia che sembra arrivare dal passato, ma che ancora oggi si combatte nei reparti di Malattie infettive: la tubercolosi.
Detto, fatto: i test hanno confermato la presenza del batterio in una mamma, che si trovava nel reparto. La scoperta una settimana fa, ha causato l’avvio della procedura d’emergenza da parte dell’azienda ospedaliera. Nonostante la Tbc sia una malattia non così rara e difficilmente trasmissibile, non era mai accaduto che qualcuno ne presentasse i sintomi in una zona controllata e – fino a poco tempo fa – off limits senza mascherine ed altre precauzioni. Sono in tutto ottanta le persone che sono state o saranno sottoposte a profilassi, la maggior parte è stata contattata già ieri, alcuni nei prossimi giorni. Si tratta di sessanta adulti e venti neonati, quest’ultimi in gran parte già presenti in reparto. La madre colpita da tubercolosi, invece, si trova ricoverata in isolamento nel reparto di Malatti infettive: secondo i medici, la malattia è sotto controllo e la paziente non mostra segni di gravità. L’Azienda ospedaliera ha rivelato il fatto ieri, una volta terminati tutti gli accertamenti. «Abbiamo agito seguendo la procedura necessaria a garantire la maggior sicurezza – è il commento del direttore generale dell’Azienda ospedaliera, Francesco Cobello – anche se i rischi che ci possa essere stato un contagio sono estremamente bassi». Secondo la letteratura scientifica, perché la Tbc possa trasmettersi occorre un contatto prolungato di almeno otto ore con un paziente che ne manifesta i sintomi (il batterio si trasmette tramite le goccioline di saliva). Impossibile, dati gli orari di visita in reparto, che questo sia avvenuto. «Ma non possiamo escludere che alcune persone siano rimaste con lei per più di quattro ore in due giorni diversi – spiega Giovanna Ghirlanda, dirigente dell’Azienda ospedaliera e responsabile della prevenzione rischi – per questo, almeno con i genitori, abbiamo utilizzato i criteri più ampi possibili per la conta dei soggetti a rischio. Alcuni dei bambini ricoverati, invece, essendo negli incubatori e nelle culle termiche non possono essere venuti a contatto con il batterio».
Ora, i vertici dell’Azienda ospedaliera, invitano alla calma: «In ogni caso saranno i nostri medici, il personale della Terapia intensiva neonatale a contattare gli interessati» spiega Cobello. E lo stanno facendo «con tutte le cautele». Le telefonate, spiegano dall’ospedale, durano anche quaranta minuti. Anche nel caso della donna coinvolta – dicono i medici – sono state rispettate tutte le procedure. «L’approccio alla terapia intensiva neonatale è cambiato – sottolinea Ghirlanda – una volta c’erano maggiori limitazioni all’accesso. Ora ovunque si preferisce che i neonati possano beneficiare del contatto con la madre». La donna avrebbe spiegato che non si sarebbe accorta di aver contratto la malattia. «È un problema più comune di quanto si pensi – nota Cobello – ogni mese ci sono ricoveri per la tubercolosi». La maggior parte delle persone che hanno frequentato la Terapia intensiva sono veronesi. In alcuni casi, però, arrivano anche dalla provincia di Vicenza, in quanto il reparto è tra i pochi centri di riferimento regionale per alcune specifiche patologie.
Davide Orsato – Il Corriere di Verona – 14 marzo 2015