I veronesi cominciano a segnalare a Cittadinanzattiva le conseguenze dei risparmi imposti dal governo alle Aziende sanitarie. Magarini: «Così il pubblico fatica a competere con il privato, più veloce e talvolta meno caro». Pesanti ricadute occupazionali
Dal troppo all’essenziale. Dagli sprechi al minimo garantito. La via di mezzo, indicata già dai latini come la migliore, in Italia è la meno praticata. E così, dopo anni in cui ci siamo abituati (e educati) all’abbondanza, risulta difficile confrontarci con gli effetti della cosiddetta spending review, che non sta risparmiando neppure un ambito primario come quello della sanità pubblica. Sottoposta a un duplice intervento di restyling.
TAGLI DEL 5%. Da una parte la spending review, che impone una riduzione del 5% dei costi per beni e servizi. «Lo faremo, ma senza toccare farmaci e emoderivati, medicina di base, assistenza specialistica ambulatoriale e ospedaliera», aveva assicurato nell’agosto scorso l’assessore veneto alla Sanità, Luca Coletto. Il quale oggi si vede costretto a aprire un tavolo di confronto permanente con sindacati e rappresentanti delle imprese di settore per governare la ricaduta occupazionale conseguente all’applicazione della spending review, in particolare nei settori delle pulizie, della ristorazione e del trasporto.
IL PESO DEL TICKET. Sull’altro fronte ci sono i cittadini – anche veneti – che per mancanza di risorse hanno dovuto rinunciare alle visite e agli esami di prevenzione e, talvolta alle cure. Il ticket aggiuntivo di 5 e 10 euro è giudicato dai più un salasso ingiusto e insopportabile ed è facile prevedere le reazioni qualora dovesse essere approvato un nuovo ticket, sulla degenza ospedaliera. Una complessa e difficile situazione, insomma, che in certi settori favorisce la sanità privata e convenzionata, che riescono a essere concorrenziali per le tariffe delle prestazioni, e più tempestive. «Le conseguenze della spending review cominciano a pesare», osserva Flavio Magarini, segretario regionale di Cittadinanzattiva, «se la sanità pubblica vuole competere con quella privata e privata convenzionata dovrà migliorare alcune situazioni critiche». Vediamo di cosa si tratta. PULIZIA. «I cittadini ci segnalano una minor accuratezza delle pulizie», segnala Magarini, «conseguenza della riduzione delle ore lavorate e/o del personale impiegato. Spesso i servizi igienici vengono trovati poco puliti e sprovvisti di carta igienica e asciugamani di carta. Meno puliti vengono giudicati anche le stanze di degenza e i corridoi. Inevitabile, quando si aggiudicano gli appalti al ribasso. Ma la minor igiene può far aumentare il rischio d’infezioni e altre malattie collegate a un non corretto servizio di pulizia».
IL VITTO. «La ristorazione ospedaliera è “parte integrante della terapia clinica perché il cibo rappresenta strumento per il trattamento della malnutrizione, problema fino a oggi sottovalutato. Una corretta alimentazione durante il ricovero, particolarmente degli anziani e dei lungodegenti, diventa parte integrante del percorso di cura. La malnutrizione comporta una maggiore vulnerabilità alla malattia e ricoveri ripetuti”. Su questo principio si basano le linee guida del ministero della Salute. Secondo uno studio dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni, un piatto su tre è bocciato dal punto di vista nutrizionale. Altre indagini riferiscono che il 40% dei pasti finisce nel cestino perché poco gustosi, freddi o portati in orari inadeguati. Un rifiuto registrato anche a Verona.
VINO E ACQUA. «In molti reparti è ingiustificata la messa al bando del “mezzo bicchiere di vino” magari rosso, di antica memoria. La rasserenante caraffona di camomilla, utile per la digestione e il riposo del paziente ricoverato, è sparita da quasi tutti i reparti». «E che dire dell’acqua?», incalza Magarini, «mezzo litro di acqua a pranzo e mezzo a cena, contingentato. Per raggiungere un sufficiente livello d’idratazione, il paziente deve procurarsela. Basterebbe sostituire la distribuzione di anti ecologiche bottigliette di plastica e dotare tutti i reparti di erogatori refrigerati di acqua potabile». FARMACI. «Naturalmente, i farmaci essenziali sono garantiti. I pazienti dimessi ci segnalano che in alcuni casi è consigliata dal medico o dall’infermiere l’assunzione di integratori da procurarsi attraverso i famigliari e, va da sè, a loro carico. Ci segnalano inoltre che durante la cura antibiotica il reparto non garantisce al degente la copertura con probiotici e vitamine. Se li vuole, deve mandare i familiari in farmacia. Così come per una pomatina non salvavita per tamponare un’irritazione cutanea venuta in ospedale». AUSILI. Conclude il segretario di Cittadinanzattiva: «Ci è segnalato che in ospedale vengono utilizzati per le infusioni aghi cannula di produzione italiana, che avrebbero la controindicazione di provocare flebiti ma, il vantaggio di costare una cifra sensibilmente inferiore a quelli di migliore adattabilità».
L’Arena – 13 giugno 2013