La Stampa. Eccone un’altra: una nuova variante di Sars-CoV-2 con una mutazione in più rispetto a quella «inglese» che, potenzialmente, potrebbe eludere gli attuali vaccini anti-Covid. Individuata da un gruppo di ricercatori dell’Università di Edinburgo, è stata ribattezzata B1525. E’ stata già identificata in 10 paesi differenti tra cui la Danimarca, la Nigeria, gli Stati Uniti e l’Australia. Nel Regno Unito sarebbero stati isolati 38 casi, precisamente 2 in Galles e 36 in Inghilterra. E come si è scoperto ieri sera, è arrivata anche a Napoli dopo il tampone ad un professionista di ritorno da un viaggio in Africa. E’ troppo presto per considerarla allarmante o preoccupante, ma i presupposti per diventarla potrebbero esserci e, per questo, è ora diventata una «sorvegliata speciale».
La variante B1525 presenta caratteristiche simili alle altre tre più note, cioè quella inglese, sudafricana e brasiliana, ma conterrebbe una nuova mutazione della proteina Spike, la chiave con cui il virus entra nelle cellule per infettarle. «Oltre alla mutazione “E484” delle varianti brasiliana e sudafricana, ha la mutazione “Q677H”, sempre sulla “spike”», spiega l’immunologa dell’Università di Padova, Antonella Viola. «Queste due mutazioni preoccupano molto per gli effetti che potrebbero avere sull’efficacia dei vaccini», aggiunge.
Tuttavia, non è ancora chiaro se la nuova variante sia più contagiosa o più virulenta. Ma non è neanche escluso che, se questa nuova variante diverrà alla fine quella dominante, l’immunità proveniente da una precedente vaccinazione o da una precedente infezione da Sars-Cov-2 potrebbe non essere efficace come adesso. «Non sappiamo ancora come si sia diffusa questa nuova variante ma se ha avuto un certo successo possiamo presumere che ridurrà l’immunità da vaccino o da precedente malattia Covid», commenta Simon Clarke, professore di Microbiologia cellulare all’Università di Reading.
Al momento si tratta solo di supposizioni. La speranza è però che i vaccini mantengano comunque un livello minimo di efficacia. Sappiamo infatti che funzionano contro la variante inglese e in parte anche contro quella sudafricana. Ad esempio, gli studi sul vaccino Pfizer/BioNTech, il primo approvato in Europa e quello che attualmente viene somministrato qui in Italia, suggeriscono che il siero è più efficace contro la variante inglese e un po’ meno contro la variante sudafricana. Anche il vaccino sviluppato da Astrazeneca/Oxford, recentemente approvato, risulta efficace contro la variante inglese e meno contro quella sudafricana. Ma anche in questo caso si presuppone che il vaccino dell’azienda anglo-svedese possa offrire una protezione significativa nella prevenzione dei casi più gravi. Molti più incoraggianti, invece, i dati sul vaccino della Johnson & Johnson, quello che dovrebbe essere approvato in Europa entro marzo e che prevede la somministrazione di un’unica dose. Dai i risultati della sperimentazione di fase 3, il vaccino sembra essere efficace anche contro le varianti sudafricana e brasiliana.