L’imbarcazione con cui i medici sarebbero dovuti andare in acqua era infatti rimasta in avaria per mesi e il direttore del servizio aveva chiesto più volte la sostituzione o per lo meno il noleggio di un altro mezzo, allegando anche i preventivi di spesa. Domande che però non avrebbero ottenuto risposta dai vertici dell’Usl 12, «costringendo» i medici ad operare in altro modo.
Il loro compito sarebbe stato quello di seguire i pescatori di vongole e cozze e fare i campionamenti dell’acqua per essere sicuri che fossero sane. Invece se ne stavano a riva ad aspettare che portassero i molluschi, della cui provenienza non potevano dunque essere sicuri. «E’ evidente che una siffatta modalità operativa non consente di ascrivere con certezza i molluschi bivalvi analizzati a determinate aree di pesca», aveva scritto il pm Giorgio Gava nel decreto di perquisizione con cui un anno fa i finanzieri del Nucleo Natanti del Reparto Aeronavale si erano presentati nella sede dell’Usl 12 di piazzale San Lorenzo Giustiniani per una serie di perquisizioni ai servizio veterinario. Ed è evidente che il timore del magistrato e degli investigatori è che con questo stratagemma si potesse nascondere del prodotto ittico pescato in aree «sporche» con un piccolo campione «pulito». Ora, un anno dopo, il pm Gava ha chiuso l’indagine e per 5 dipendenti dei servizi, tra cui anche lo storico direttore del servizio, si avvicina l’ora del processo con l’accusa di falso ideologico: aver cioè messo la firma su un verbale di campionamento sapendo di non dire il vero. Non sarebbero invece emersi scambi di denaro o regali, tali da poter configurare reati più gravi come la corruzione.
Tutto era partito da alcune verifiche dei finanzieri, che avevano scoperto il sistema, forse anche grazie a una «dritta» interna. Le fiamme gialle avevano così organizzato dei servizi di controllo e avevano visto con i loro occhi e fotografato gli incontri tra i medici dell’Usl 12 e i pescatori, che avvenivano a terra (di solito alla diga degli Alberoni o a Punta Sabbioni) e non invece in mare, come prevede la normativa in maniera di sicurezza alimentare. Il medico infatti dovrebbe effettuare il prelievo nella zona di pesca dei molluschi, per poter certificare la salubrità del prodotto. Il problema, secondo la versione degli avvocati difensori, era però più logistico che fraudolento: l’imbarcazione con cui i medici sarebbero dovuti andare in acqua era infatti rimasta in avaria per mesi e il direttore del servizio aveva chiesto più volte la sostituzione o per lo meno il noleggio di un altro mezzo, allegando anche i preventivi di spesa. Domande che però non avrebbero ottenuto risposta dai vertici dell’Usl 12, «costringendo» i medici ad operare in questo modo.
Ora è probabile che qualcuno dei cinque medici voglia spiegare tutto questo al pm Gava, che poi dovrà a sua volta decidere se procedere con la richiesta di rinvio a giudizio. Tra l’altro la loro linea è che comunque non è mai stato immesso sul mercato del pescato pericoloso dal punto di vista igienico-sanitario. Questo, in realtà, è un aspetto che, pur sicuramente prioritario per la salute pubblica, per l’indagine penale conta fino a un certo punto: di fronte a un giudice potrebbe bastare solo la verifica che il documento firmato era falso e lo era consapevolmente. (dal Corriere del Veneto)
22 ottobre 2013