Se la Lega glielo avesse chiesto, Luca Zaia avrebbe accettato di candidarsi alle politiche, salvo rinunciare al mandato parlamentare una volta eletto: la sua presenza (secondo le stime dell’istituto Swg) avrebbe fruttato un surplus di voti sufficiente ad arginare il tracollo in Veneto ma così non è stato.
Dal segretario Flavio Tosi non è giunto alcun segnale in tal senso e il governatore, al pari degli altri veterani del partito, non ha avuto ruolo alcuno nella composizione delle liste. È l’ultimo rumor trapelato e conferma l’avvenuta rottura tra i cavalli di razza del Carroccio. Nelle settimane precedenti il voto, i due si sono evitati accuratamente, anche nelle manifestazioni – a Treviso, Oderzo e Padova – che li vedevano di scena sullo stesso palco. Di più. L’ultima goccia, quella che ha spinto il felpato Zaia a “scatenare l’inferno”, è arrivata dal web dove molti amici del sindaco di Verona gli hanno rinfacciato la “diserzione” dalla campagna elettorale nella fase più delicata. Argomenti che hanno spinto il governatore a reagire con durezza – «Il segretario ha sbagliato linea, è assurdo incolpare gli altri della nostra sconfitta, le ferite interne sono diventate cancrene, serve un passaggio congressuale» – al punto da sollecitare Roberto Maroni, neo presidente della Lombardia, a mantenere la carica di segretario federale per «farsi garante dell’unità del partito». Concetti ribaditi nel corso di una lunga telefonata a “Bobo”, accompagnata da un’attestazione di stima: «La sua vittoria è un risultato eccezionale, è il vero dato politico di queste elezioni, solo oggi si respira il senso di una fine strategia, quella della macroregione che, per la prima volta, coalizzerà tutte le regioni del Nord a favore dei nostri territori. Stiamo iniziando a scrivere una pagina di storia importante per i nostri popoli». Dove l’enfasi di Zaia non cancella il nodo politico, quasi un aut aut che imporrà a Maroni di scegliere tra il sostegno totale al proconsole veronese e la collaborazione fiduciaria con l’uomo che, al drammatico congresso di Assago, lo proclamò successore di Umberto Bossi. Nell’immediato, il “barbaro sognante” prova a minimizzare: «Queste frizioni sono normali, nella vita capitano, parlerò con entrambi e le risolveremo in un secondo». Maroni conferma la volontà di fare il governatore a tempo pieno – «Al prossimo consiglio federale sono pronto a passare la mano a un giovane capace di guidare la Lega con fermezza» – ma la sensazione è che potrebbe ripensarci. Da più parti lo invitano a restare al timone di via Bellerio (l’ultimo appello in tale direzione arriva dal suo vice vicario e capogruppo veneto Federico Caner) nel timore che una corsa alla successione esasperi il malumore dei lighisti. Questi ultimi – convinti di aver pagato un prezzo salatissimo all’alleanza con il Pdl funzionale alla conquista della Lombardia – difficilmente accetterebbero un leader “foresto” (Matteo Salvini, ad esempio) di seconda fila. Nel frattempo c’è in ballo la richiesta di un congresso veneto straordinario, lanciata dal senatore padovano Massimo Bitonci e caldeggiata da tutti i “lealisti”, trevigiani orfani di Gian Paolo Gobbo in primis. Un secco no arriva dal braccio destro di Tosi, Maurizio Conte: «C’è chi indica in Flavio l’unico responsabile del trend in ribasso della Lega ma la campagna elettorale non poteva essere una linea Maginot, la debolezza della nostra politica è dipesa da ben altri fattori come un’indigeribile vicinanza a Berlusconi, peraltro giustificabile alla luce dei risultati in Lombardia, e dalle tristi vicissitudini legate agli epurati Belsito e C»; conclusione del numero due lighista: «L’emorragia percentuale ha investito tutto il Nord e la pretestuosità di chi chiede teste e congressi non ha motivo di esistere. La volontà di delegittimare la democratica elezione di Tosi nuoce gravemente al movimento: abbiamo il dovere di utilizzare le giuste sedi per discutere del nostro presente e, soprattutto del nostro futuro». Ma il braccio di ferro continua, tra riunioni semiclandestine, mozioni contrapposte e attesa per direttivo convocato martedì. Si vocifera di commissariamenti e sospensioni. È un mondo difficile, già.
Il Mattino di Padova – 28 febbraio 2013