«Il Veneto non ce la fa più, occorre un gesto clamoroso, non simbolico, di sostanza: dobbiamo sfondare il Patto di stabilità che strangola la nostra economia, agendo tutti insieme. Mi rivolgo ai 581 sindaci dei nostri territori, senza distinzioni politiche: mi offro di farlo per primo, se necessario farò da gregario ai Comuni, io non cerco palcoscenici e tanto meno voglio che questa iniziativa sia cavalcata a scopi elettorali, c’è il ballo il futuro della nostra gente. Se non immettiamo nuove risorse in circuito, la congiuntura sociale diventerà drammatica».
Il governatore leghista Luca Zaia alza il tiro e invita alla «disobbedienza gandhiana» verso Roma. Ma che significa in concreto? È una boutade o un atto di ribellione? E in questo caso, con quali modalità ed esiti prevedibili? «Guardiamo ai fatti. Qui non ci sono più soldi, gli imprenditori si suicidano, i disoccupati sono 165 mila, l’anno scorso 700 aziende si sono trasferite in Carinzia e molte altre hanno chiuso. Di questo passo, la deflagrazione è inevitabile, se non facciamo nulla ci arriveremo comunque, allora conviene agire prima e spezzare questo vincolo assurdo che ci impedisce di dare ossigeno alla crescita e al lavoro. La situazione è giunta al limite della rottura, non sono io a dirlo ma i cittadini che riempiono le piazza gridando la loro protesta: contro i politici cialtroni, certo, ma anche per denunciare gli effetti della crisi che ci ha messo in ginocchio». Violare il Patto di stabilità significa rimettere in discussione l’equilibrio finanziario tracciato dal Governo ed esporsi alle pesanti sanzioni economiche di legge. «Questo Patto non è stato formulato dall’Unione europea, non è un capestro piombato dall’alto. L’Ue ha chiesto il pareggio del bilancio nazionale e il Governo italiano, per centrarlo, ha imposto un’equa distribuzione del malessere che non distingue tra virtuosi e spreconi. Risultato? Il Veneto ha 1,4 miliardi di depositi alla Tesoreria Unica, soldi dei nostri cittadini che sono congelati, non possiamo usarli per finanziare la crescita e neppure per pagare i fornitori in tempi ragionevoli. Attualmente la Regione li salda a 249 giorni ma altri enti, quando pagano, lo fanno dopo tre anni. Ecco, noi dobbiamo riprenderci i nostri fondi e pomparli nel sistema veneto come leva per la crescita. Ricordo, per l’ennesima volta, che se tutte le regioni italiani applicassero i costi standard del Veneto, il risparmio per lo Stato sarebbe di 18 miliardi l’anno, un terzo degli interessi pagati sul debito pubblico. Questi sono numeri, non propaganda. Io parlo da amministratore non da militante leghista e avverto tutta la responsabilità di ciò che sto dicendo». Le sanzioni previste sono molto pesanti, a cominciare dal drastico taglio ai trasferimenti da parte dello Stato? «Quali trasferimenti? Noi non chiediamo aiuti pubblici, vogliamo solo disporre delle risorse frutto del lavoro del nostro popolo, non chiediamo altro. Sapete perché ho deciso di dire basta? Domenica, a Caorle, ho partecipato a un incontro con i sindaci e gli operatori turistici. Hanno un problema gravissimo di erosione marina delle spiagge, versano 9 miliardi di canone annuo allo Stato e ora rischiano di ritrovarsi senza spazio vitale. Hanno chiesto aiuto al Governo e la risposta è stata “arrangiatevi”. È possibile continuare così? Altro che effetto-Grillo, la disperazione sociale sta montando e io ritengo irresponsabile stare a guardare senza muovere un dito». Quindi, che cosa farà? «Lo ripeto, sono pronto ad agire, anche da solo se necessario. Credo però che un’azione bipartisan, senza etichette di partito, avrebbe un peso maggiore. Come farebbe Roma a sanzionare la locomotiva del Paese che tappa le falle altrui? La nostra sarebbe una vera rivoluzione pacifica». Cosa prevede nei prossimi mesi? I segnali sono preoccupanti. «Non sono un indovino ma il nostro motore è senza benzina. la stagione di tasse e tagli indiscriminati ci ha fatto regredire. L’odio sociale, l’invidia di classe e le vessazioni burocratiche spaventano le partite Iva e senza impresa non c’è futuro. Qualcuno ha voluto colpire le barche, il risultato è che i proprietari sono scappati tutti in Croazia e abbiamo perso 13 mila posti di lavoro oltre ai mancati ricavi fiscali. O si cambia strada o finiremo male».
Il Mattino di Padova – 19 febbraio 2013