Non è più letale ma contagia di più, anche i più giovani, e se i casi aumenteranno cresceranno di conseguenza anche i morti. È già successo in Inghilterra dove è nata appunto la cosiddetta variante inglese che in poco più di un mese potrebbe ora diventare la forma più diffusa del virus SarsCoV2 anche in Italia, dove già oggi il 17,8% dei casi positivi si devono a questo ceppo mutato. Una percentuale confrontabile al 20-25% della Francia e al 30% della Germania. Vale a dire che, fra i casi positivi in Italia, circa uno su cinque risulta positivo alla variante inglese. A certificarlo è l’indagine appena completata dall’Istituto superiore di Sanità insieme al ministero della Salute su 852 campioni che mostra una sua diffusione molto diversa tra le Regioni: «Varia dallo 0,5% di alcune aeree ad altre con il 59% di prevalenza», ha spiegato ieri il direttore della Prevenzione della Salute Gianni Rezza.
A essere più colpito al momento è il centro-Nord Italia: in Abruzzo che domani diventerà arancione con alcune zone rosse proprio a causa della variante inglese la metà dei casi è da attribuire a questo ceppo, il 40% nelle Marche, in Lombardia dove si sono registrati diversi focolai alle porte di Milano – a Bollate sono state chiuse diverse scuole – si arriva al 30% di prevalenza, il 20% in Veneto scendendo all’8% in Toscana. Mentre in Umbria oltre a quella inglese preoccupa la variante brasiliana, una delle tre in circolazione insieme alla sudafraicana. Ma è quella inglese a prevalere sulle altre: «In 5-6 settimane potrebbe sostituire il virus SarsCov2 ora circolante», ha confermato il presidente dell’Iss, Silvio Brusaferro. L’epidemia di Covid-19 è entrata così in una fase nuova e molto delicata, nella quale è essenziale tenere alta la guardia.
Ad allarmare è la maggiore contagiosità di questo ceppo: «Le mutazioni gli attribuiscono una maggiore affinità con i nostri recettori e quindi una sua maggiore trasmissibilità. Sulla maggiore contagiosità tra i bambini non abbiamo dati definitivi, quelli inglesi suggeriscono una maggiore suscettibilità delle fasce più giovani», spiega al Sole 24 Ore Paola Stefanelli che per l’Iss lavora proprio alla rete di allerta rapida sulle varianti. E che ribadisce come questo ceppo non sia più letale: «Così risulta dai dati internazionali, certo però se aumenta in maniera considerevole il numero dei casi proprio a causa della sua trasmissibilità la conseguenza è che potrebbero aumentare i morti».
Ma come si va a caccia di queste varianti? Una circolare della Salute del 31 gennaio pone come obiettivo minimo 500 tamponi da sequenziare a settimana indicando anche una serie di “spie rosse” su cui indagare: dai casi di infezioni tra i vaccinati a quelli di reinfezione, dagli arrivi dai Paesi a rischio ai focolai sospetti. «In tutte queste situazioni si vanno a fare degli approfondimenti – avverte Stefanelli – poi però bisogna aumentare la possibilità di intercettare le varianti. Per questo si sta studiando la possibilità di fare dei pre-screening con kit in grado di dirci la possibile presenza di varianti per poi procedere al sequenziamento su un sottocampione». Ma si faranno nuove indagini nazionali? «Si, contiamo di realizzarne un’altra per consolidare questi dati e vedere la diffusione intorno al 20 febbraio, a 15 giorni di distanza da quest’ultima», aggiunge la ricercatrice dell’Iss. Che sui vaccini sottolinea come «non sia dimostrata una minore efficacia di fronte a questa variante».
Intanto proprio su vaccini cresce il nuovo fronte tra le Regioni e il governo e cioè quello dell’acquisto in autonomia delle dosi. In prima linea c’è il presidente del Veneto Luca Zaia, che persegue l’obiettivo di comprarne 4 milioni all’estero, come ha comunicato all’Agenzia italiana del farmaco (Aifa). Ma anche il Piemonte si muove per altre 3 milioni di dosi. E promettono i unirsi a loro anche Lombardia e Liguria.
IL Sole 24 Ore