Quello sui vaccini, con la moratoria fino al 2019/20 decisa dalla Regione per la presentazione dei documenti per i bambini che si iscrivono ad asili nidi e scuole materne e l’annunciata impugnazione del provvedimento da parte del governo, è solo l’ultimo dei grandi temi di politica nazionale finiti nelle contese fra Stato e Regioni. Anche la battaglia sui vaccini, oltre che sul decreto del dg della Sanità regionale che rinvia l’obbligo, poggia su un ricorso in Corte costituzionale, e proprio quella della Consulta è la via maestra del conflitto. Non l’unica, perché anche Tar e Consiglio di Stato ospitano parecchi capitoli della saga: ma solo bussando dai giudici delle leggi, ovviamente, si può far cancellare la norma contestata.
Dopo un 2016 relativamente tranquillo, chiuso con “solo” 77 ricorsi, quest’anno mostra un deciso ritorno di fiamma con 69 battaglie ingaggiate prima della pausa agostana. Il 52%, 36 su 69, sono avviate dal governo, che impugna le leggi regionali quando le ritiene fuori linea rispetto ai parametri nazionali, ma sono i ricorsi che partono dal territorio ad aprire le brecce più larghe nella rete della normativa: rimettendo in discussione decisioni nazionali sulla salute pubblica, come nel caso dei vaccini che stanno infiammando il dibattito, oppure colpendo riforme come quelle della Pubblica amministrazione o vari capitoli della spending review.
Naturalmente non bisogna cadere nell’errore banale di confondere il termometro con la malattia, perché i giudici muovono le forbici su una legge o un atto amministrativo solo quando lo vedono macchiato da un vizio su cui ritengono di non poter transigere. In qualche caso, come accaduto all’obbligo di «intesa» unanime invece che di semplice «parere» degli amministratori locali per la riforma della Pa, il difetto è nella procedura prima che nel merito (un caso simile, giusto per uscire dai confini regionali, è alla base della bocciatura costituzionale dei costi standard dell’università, fissati in concreto con decreti ministeriali anziché con legge primaria); ma la frequenza degli infortuni costituzionali degli ultimi anni accende l’allarme anche sulla qualità del lavoro di governi e parlamenti.
Fatto sta che proprio la querelle sui vaccini mostra come l’effetto-paralisi si possa manifestare già con l’avvio delle battaglie, prima ancora delle decisioni di merito. Più dei numeri, da questo punto di vista, è importante la rassegna dei temi finiti sotto i colpi dei giudici: la riforma della Pa ha visto cadere sul nascere le nuove regole sui dirigenti pubblici e la liberalizzazione dei servizi locali, mentre il taglia-partecipate è stato ritardato di sei mesi (i piani vanno approvati entro il 30 settembre, invece della scadenza originaria del 23 marzo) e ammorbidito nei contenuti (restano i cda invece dell’amministratore unico, per i primi tre anni bastano 500mila euro di fatturato per sopravvivere); il potere di scelta dei dirigenti sanitari è tornato invece di fatto alle Regioni. Fra giudici amministrativi e costituzionali, sono stati bocciati tutti i criteri per la distribuzione dei fondi comunali dal 2013 al 2015, in un curioso filotto che ha affondato anche la spending review di Mario Monti. A colpirla è stato un ricorso dello stesso Veneto, che prima dell’estate ha ottenuto anche lo stop alle trivellazioni nel golfo di Venezia e ora, insieme ad altre Regioni, ha chiesto di mettere sotto esame il nuovo servizio civile universale.
Il ricorso, insomma, è diventato un’arma politica a tutto campo, imbracciata però anche da Regioni guidate da maggioranze più vicine al governo nazionale. È il caso in particolare della Toscana, che negli ultimi mesi ha chiesto ai giudici delle leggi di pronunciarsi su riforma delle Camere di commercio (come altri, dalla Lombardia alla Liguria), rottamazione delle cartelle, e blocco delle aliquote locali. L’ultima tornata di impugnazioni si è è concentrata sulla manovrina correttiva approvata ad aprile e convertita in legge a giugno, che impegnerà i giudici sulla riforma del trasporto pubblico locale e sul problema eterno dei fondi alle Province. In attesa della prossima manovra, che come sempre offrirà una nuova ondata di lavoro agli avvocati.
Il Sole 24 Ore – Gianni Trovati – 6 settembre 2017