Quello di oggi, giura la madre, sarà un pranzo completo e saporito: «Riso integrale con cipolla, fagioli borlotti ed erbette, dolcetto di pastafrolla con la mela. Mi sembra ottimo, no?». Non per il padre. Niente affatto. Anzi, lo considera un pranzo del tutto inadeguato alla crescita di un ragazzino di 12 anni. «Lo specialista che ho consultato, dopo tutti gli accertamenti del caso, ha concluso in questa maniera: “La dieta vegana risulta difficilmente equilibrata perché carente di alcuni nutrienti essenziali per la salute e in particolare per la crescita in età pediatrica”. Quindi…».
La madre vive sola, cerca lavoro in un orto macrobiotico, fa almeno due ore di meditazione al giorno, rifugge la carne. Il padre vende barattoli per conto di una ditta francese, si è risposato e cucina una bistecca al figlio, con amore, ogni volta che può. E così, una divergenza alimentare fra due genitori divorziati – ma forse sarebbe più corretto dire fra due modi di intendere il mondo – è finita davanti a un giudice della I Sezione del Tribunale Civile di Bergamo.
La vicenda è stata raccontata in anteprima dall’Eco di Bergamo. Il giudice si chiama Ezio Siniscalchi, ed è arrivato a queste conclusioni: «Il bambino, nel periodo in cui vive con la madre e prima del successivo incontro con il padre, deve consumare un pasto comprensivo di carne almeno una volta. E nel periodo in cui vive con il padre, prima del rientro dalla madre, deve consumare un pasto comprensivo della carne non più di due volte». Totale: tre bistecche – o qualcosa del genere – alla settimana. Non di più, non di meno. Per legge.
«E’ assurdo quello che è successo», racconta la madre. «Io e il mio ex marito siamo separati dal 2006, divorziati dal 2009. Le nostre strade si sono divise senza litigate, ma abbiamo smesso di parlare. Lui ha alzato un muro invalicabile di silenzio. Nonostante questo, non ci sono mai stati problemi nella gestione di nostro figlio. Il papà lo vede quasi tutti i weekend, una notte dorme da lui, ci organizziamo in base alle esigenze di tutti».
Negli ultimi anni, facendo meditazione, la madre ha cambiato i suoi gusti alimentari: «Considero gli animali essere viventi uguali all’uomo. Ricordo nitidamente quella volta in cui ho preso un pezzo di bollito dal frigo per cucinarlo e ho detto: “Questo sarà l’ultima carne della mia vita”. Così è stato». Da allora, dieta vegana e poi macrobiotica: «Stiamo molto meglio. Sia io, sia mio figlio». Ma quando torna da casa di papà, sostiene la signora, lo vede pallido e fuori forma: «Mal di pancia, malessere. Orecchie gonfie. Fegato sovraccarico. E lì che è nata la domanda: ma cosa ti dà da mangiare papà?».
Il padre non ha detto niente, ma ha consultato un avvocato. E così, la storia è arrivata alla sentenza datata 17 aprile 2015. Unica nel suo genere. Il padre ora preferisce non commentare, risponde gentile al telefono. «Non ho niente da aggiungere, grazie». La madre invece è molto dispiaciuta: «Sono stata convocata in Tribunale senza conoscere neppure il motivo. Mi hanno dato un avvocato d’ufficio. Sono rimasta spiazzata. Il giudice è stato molto duro nei miei confronti. In udienza mi ha urlato contro, al punto che sono scoppiata a piangere. Purtroppo, non è riuscito a trovare un compromesso. Ora mi domando: è normale che una sentenza dello Stato italiano mi obblighi a dare la carne a mio figlio?». Per lei non è più soltanto un problema di alimentazione: «Ho provato ad assaggiare un arancino con dentro la carne trita. Ho dovuto sputarlo. Mi fa impressione. Mi fa stare male. Non ci riesco proprio. Almeno il giudice avesse detto che poteva andare bene il pesce…».
Il figlio sa tutto. La madre dice che è di ottimo umore, nonostante la disfida. «E’ un ragazzino sano e bello. E’ in gran forma. Pesa 39 chili». E’ difficile anche solo riuscire a immaginare come verrà controllato, d’ora in avanti, il regime alimentare della famiglia in questione. E’ un momento in cui la giustizia civile sta scoprendo nuove frontiere. Solo nell’ultimo anno, per fare un esempio, i giudici del Tar si sono occupati di somministrare l’inesistente metodo Stamina, del taglio degli ulivi ammalati di Xylella e dei candidati impresentabili. Ma questa volta, forse bastava parlarsi. E’ il tormento della signora appassionata di cibi macrobiotici: «Io e il mio ex marito potevamo metterci d’accordo. Trovare una strada. E invece, silenzio, silenzio, silenzio. Questo è stato l’errore più grande».
Il legale. “Sentenza senza precedenti. Dimostra come la famiglia sia scesa a un livello basso”
Stefano Pezzini. «E’ una sentenza che non ha precedenti in Italia, ma non credo si debba gioire. È la dimostrazione di come il livello della famiglia sia sceso in basso»: Gian Ettore Gassani, presidente dell’associazione nazionale avvocati matrimonialisti, commenta con molta amarezza la sentenza dei giudici di Bergamo. «Una sentenza che tradisce quasi una patologia. Quando una coppia si separa affida comunque ad un estraneo gran parte della propria vita. È un giudice che decide a chi saranno affidati i figli, a quali ore e in quali giorni l’altro coniuge potrà vederli, quando potrà averli per le vacanze e quanto deve dare al mese per mantenerli», dice ancora Gassani.
E aggiunge: «Per l’Italia quella di Bergamo è sicuramente la prima sentenza in tema di stili alimentari, una sentenza che costituisce un precedente. Ma non mi sento di dire sia un passo avanti anche se non mi meraviglia. Assistiamo sempre più spesso a minori, figli di coppie che divorziano, che denunciano disturbi alimentari, dalla bulimia all’anoressia. In Germania e in Inghilterra i giudici intervengono su questa materia, in Italia è la prima volta. Purtroppo credo di essere facile profeta a prevedere che casi del genere aumenteranno. Penso alle coppie formate da soggetti di nazionalità diversa, con stili alimentari e culturali diversi oltre che, ovviamente, all’aumento dei vegani, dei macrobiotici o dei semplici vegetariani».
Il rischio, per la mamma di Bergamo, è quello di incorrere in provvedimenti penali se non metterà nel piatto del figlio una bistecca alla settimana. Conclude Gassani: «In effetti se la signora non applicasse quanto disposto dal giudice potrebbe essere sanzionata penalmente e non solo. Il giudice potrebbe addirittura rivedere la pratica di affidamento e decidere di cambiare la decisione affidando il ragazzo al padre». Il tutto per una bistecca.
Il nutrizionista. “Ma è pericoloso affidare il menù dei nostri ragazzi alle decisioni del magistrato”
«La decisione del giudice di Bergamo mi sembra equilibrata, dettata dal buon senso, ma certo è preoccupante che anche la dieta, soprattutto dei minori, debba essere dettata da un magistrato»: Giorgio Calabrese, medico nutrizionista, docente di Alimentazione e nutrizione umana presso l’università del Piemonte Orientale di Alessandria e presso l’università di Torino e di Messina, non è particolarmente contento che sia un giudice a dettare regole nutrizionali. «L’alimentazione va di pari passo con la salute, trascende la giustizia. Ancora una volta ci affidiamo ai tribunali per problemi di tipo politico, sociale ma soprattutto tecnici. A questo punto i tribunali dovranno avere dei consulenti tecnici, pediatri, nutrizionisti, per formulare dei menù equilibrati adatti ai minori», commenta Calabrese.
Il professore, poi, sottolinea come l’equilibrio sia basilare per la salute: «Stiamo viaggiando tra due poli opposti, entrambi dannosi. Ai vegani mancano delle proteine, chi mangia troppa carne ingerisce troppi grassi. I vegani mangiano una parte importante delle sostanze che costituiscono la piramide alimentare, ma gli manca qualche cosa. È come se si costruisse una casa solo con i mattoni. Alla prima scossa di terremoto le pareti cedono. Così un ragazzo nutrito solo con cibi accettati dalla filosofia vegana alla prima infezione si ammala. Chi mangia troppa carne, all’opposto, va incontro ad altri gravi problemi di salute. Bisogna ritrovare il giusto mezzo, oltre tutto siamo la patria della dieta mediterranea, una dieta completa e salutistica».
Per il professor Calabrese anche chi ha problemi morali a nutrirsi con una dieta carnea può ingerire grassi animali: «Basta mangiare uova e formaggi come il parmigiano per assumere proteine necessarie alla crescita dei ragazzi. Ci vuole equilibrio, insomma, non affidare ai giudici anche il menù dei nostri figli».
La Stampa – 29 maggio 2015