E’stato pubblicato il testo integrale della sentenza della Corte di Cassazione che ha respinto, giudicandolo inammissibile, il ricorso di due veterinari pubblici dell’Aquila – P.I., Direttore del Servizio Veterinario di Sanità Animale della ASL dell’Aquila, e M.P., veterinario del Servizio Veterinario di Sanità Animale della stessa ASL – condannati in appello per l’uccisione di ben 9 cuccioli di cane poiché il canile non avrebbe avuto posti disponibili.
Solo pochi mesi fa infatti, la Suprema Corte ha posto la parola fine alla vicenda. I fatti risalgono alla seconda metà del 2004, quando il dirigente veterinario ordinò al proprio collega la soppressione di nove animali, per presunti motivi di “ordine pubblico” in base alla richiesta, legittima secondo la difesa, del proprietario del terreno dove vivevano gli animali che invece avrebbe chiesto solamente un intervento per farli accudire da qualcuno. I cuccioli vennero uccisi con un’iniezione di Tanax eseguita dal dipendente della Asl su ordine del proprio dirigente. Fatti denunciati dalla LAV e dalla Lega nazionale per la Difesa del Cane.
«La sentenza va a ribadire quanto da noi sostenuto fin dall’inizio – spiega l’avvocato Carla Campanaro, dell’Ufficio Legale Lav – ovvero che il rapporto fra cane e proprietario giuridico non puo’ essere ridotto ad una banale disponibilita’ dell’uomo sull’animale, ma deve tener conto della capacita’ di soffrire di quest’ultimo, in quanto essere senziente meritevole di tutela. Gia’ in primo grado il Tribunale dell’Aquila aveva rilevato che grazie all’allora recentissima legge sul maltrattamento di animali, la 189 del 2004, ‘il proprietario non ha piu’ la totale disponibilita’ dell’animale, ne’ puo’ infliggergli gratuite sofferenze ne’ toglierli la vita senza valide giustificazioni’. Un’evidenza sottolineata anche dalla sentenza d’appello del 2011, che oggi trova riconoscimento una volta per tutte nella decisione della Cassazione».
L’Aquila. Il veterinario condannato: “Accetto la sentenza, ma non mi dimetto”.
Il dottor Pierluigi Imperiale, direttore del servizio Veterinario di sanità animale della Asl numero 1 Avezzano-Sulmona-L’Aquila, apprende daAbruzzoWeb la notizia della condanna in Cassazione per lui e per Mauro Ponziani, veterinario della stessa Asl, a 2 mesi e 10 giorni di reclusione per l’uccisione di 9 cuccioli di cane.
Nonostante la condanna definitiva, Imperiale ci tiene a togliersi qualche sassolino dalla scarpa e spara a zero sulla Lega antivivisezione (Lav), parte civile nel processo che ora chiede, nella persona del suo presidente Gianluca Felicetti, la radiazione dall’albo dei due medici.
“Non mi dimetto dall’incarico per nessuna ragione, ma stiamo scherzando? – afferma deciso – Sono polemiche puramente strumentali quelle degli animalisti, per i quali sono diventato ormai il nemico giurato”.
Alle dichiarazioni di Felicetti, Imperiale risponde puntualizzando di essere già stato “oggetto di un colloquio con l’ordine dei veterinari e di una commissione Asl circa l’eventuale radiazione”, che si è risolto in suo favore.
In riferimento alla condanna il medico sottolinea che “l’eutanasia è consentita dalla legge” e di essere stato condannato “non per crudeltà, ma per la non necessità dell’atto. Tuttavia la legge regionale – sottolinea – dice chiaramente che la necessità dell’eutanasia deve essere stabilita dal veterinario. In questo caso è stata sancita dal giudice che con la sua sentenza supera la legge regionale”.
Una scelta, quella dell’uccisione dei 9 cuccioli che Imperiale spiega quasi come obbligata. “Avrei dovuto scegliere se lasciarli in mezzo alla strada, in un contesto come quello di Roio, in cui allora c’erano stati terribili atti di barbarie contro i cani, o scegliere di farli morire in canile, dove era in corso una forte epidemia di gastroenterite. Scelsi l’eutanasia, avendo facoltà decisionale che uso secondo coscienza – sostiene il veterinario – Si tratta di un lavoro sporco che nessuno vuole fare e a noi certo non piace farlo”.
Un iter processuale e un rinvio a giudizio “automatici” secondo il direttore del sevizio Veterinario che specifica “non sono stato nemmeno ascoltato nel processo d’Appello”.
“La prima sentenza fu fortemente influenzata dal ‘caso Sebastiano’ – prosegue Imperiale – per il quale all’epoca ci fu una forte pressione mediatica che mi additò come l’assassino di un cane amato da tutti gli aquilani. Furono raccolte firme contro di me, minacciati i miei figli e fui massacrato per un episodio al quale non ero stato nemmeno presente personalmente”.
“Sono disposto a pagare – conclude Imperiale – fa parte del mio compito istituzionale, ma almeno facciamo chiarezza sulle leggi. Si può procedere all’eutanasia secondo la legge o no? In un anno se ne eseguono circa 50 sul territorio. E allora? Per ogni caso si dovrebbe fare un processo?”.
27 settembre 2013