Appena resi noti i dati sul Programma nazionale esiti (Pne) dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali sono scoppiate le polemiche, ma prima di tutto è bene ricordare che misurare i risultati in sanità è un’ottima cosa.
Sapere cosa si fa, in che tempi e con quali risultati, è fondamentale per misurare la qualità delle cure e dell’organizzazione sanitaria che offriamo ai cittadini; ben venga quindi il lavoro di Age.Na.S. il Pne fotografa una sanità che migliora, basti citare ad esempio la riduzione della percentuale di parti cesarei primari, un indicatore di qualità delle cure che in Italia è sempre stato peggiore che negli altri Paesi occidentali: nel 2004 era pari al 87,5% contro una media europea inferiore al 25%, nel 2ou la percentuale era già scesa al 27,4 per diventare il 26,7% nel 2012. L’immagine è però quella di un Paese spaccato in due: sempre facendo riferimento ai cesarei, la larghissima maggioranza delle strutture che ne abusano sono concentrate in Campania, 9 tra quelle con le percentuali maggiormente negative (la decima è a Roma), tutte con oltre 7o% di parti chirurgici, fino a oltrepassare il 9o%. E se un bypass aortocoronarico ha ormai una mortalità con percentuali inferiori al-l’1% nelle regioni del Nord, lo stesso intervento al Sud può arrivare ad avere una mortalità ben al di sopra del 6% e perfino del 14%. Analoghe considerazioni valgono perla gran parte delle valutazioni riportate nel rapporto dell’Age.Na.S, che apre così indirettamente una riflessione sulle criticità di un federalismo sanitario esasperato, ormai sconfinato in un federalismo medico che non sembra in grado di garantire a tutti gli stessi livelli di qualità delle cure. Tutti cittadini italiani, ma campani, siciliani, lombardi o toscani nella malattia. Va poi segnalato l’uso improprio di un serio programma di valutazione delle cure per stilare forzose classifiche sugli ospedali migliori o peggiori: non è questo lo scopo del Pne e una sua estrapolazione in tal senso condurrà solo a inutili storture e gratuite polemiche.
Sergio Hararl – Corriere della Sera di venerdì 4 ottobre 2013