Uno vuol «cambiare verso all’Italia», l’altro «ricostruire il Paese». Il primo ha appena iniziato la sua campagna per prendersi il Partito democratico, il secondo – da leghista – si è candidato alle (per ora inesistenti) primarie del centrodestra.
Ma, prima di tutto, Matteo Renzi e Flavio Tosi restano due sindaci orgogliosi dei propri risultati («A Firenze ho dimostrato che è possibile abbassare le tasse», «Verona è uno dei Comuni più veloci d’Italia nel rilascio dei permessi edilizi»). Ed è sul fronte dell’esperienza amministrativa, che ne ha forgiato e alimentato le ambizioni nazionali, che Matteo e Flavio si intendono a meraviglia, come se dall’osservatorio del municipio i problemi del Paese fossero tremendamente chiari.
Di nuovo assieme a Verona, sei mesi dopo il faccia a faccia a Vinitaly, stavolta non insieme sul palco ma intervistati a staffetta da Alessio Vinci davanti alla platea dell’assemblea di Confindustria, Renzi e Tosi si scambiano assist e carezze, per colpire uniti contro quello che entrambi individuano come il vero mostro da sconfiggere: la burocrazia. Una burocrazia che prende la forma di una legislazione tentacolare, sia da parte dello Stato («Ci sono 214 norme di diritto del lavoro quando ne basterebbero 60», dice Renzi) che da parte delle Regioni («Abbiamo fatto ricorso al Tar contro la nuova legge regionale del commercio e contro il piano territoriale di coordinamento», ricorda Tosi). Ma l’esempio che entrambi scelgono per simboleggiare la tirrannia dei burocrati contro i rappresentanti del popolo è quello delle soprintendenze. Quella che per Tosi è una battaglia ormai quotidiana – dalla vertenza sui palchi «troppo grandi» dei concerti rock in Arena a quella (spuntata ieri) dei maxischermo «troppo luminosi» di una manifestazione in piazza dei Signori – deve turbare non poco anche i sonni di Renzi, che infatti attacca: «La soprintendenze hanno un potere discrezionale enorme, devono cambiare».
Cambiare. Ma come? Sia Renzi che Tosi hanno sperimentato quanto sia difficile, in Italia, cambiare. «La rottamazione a parole ha funzionato, nei fatti è un altro discorso», riconosce Renzi. E Tosi: «La seconda Repubblica è stata un fallimento, anche la Lega ha sbagliato restando al fianco di Berlusconi quando era evidente che riforme come il federalismo non sarebbero mai passate». Cosa rinfacciata anche da Renzi, nell’unica vera stilettata del confronto a distanza: «I leghisti hanno parlato tanto di Roma ladrona ma poi quando sono stati lì si sono trovati bene».
Una politica che torna a occuparsi dei problemi del Paese: l’hainvocata, prima dell’intervento dei due sindaci, Santo Versace, mentre per l’imprenditore romagnolo Nerio Alessandri (ad di Technogym) bisogna «tornare a sognare, perché è la condizione per rischiare». Ovazioni per la ricercatrice e virologa Ilaria Capua, anche deputata di Scelta Civica, che ha insistito sui temi del merito: «Le ragazze bruciano i maschi nel profitto, ma poi non gli si consente di sbocciare».
Efficaci – almeno a sentire gli applausi raccolti dalla platea- nella diagnosi delle malattie dell’Italia, i due sindaci dovranno dimostrare di avere davvero la ricetta per la cura. Renzi si affida ai suoi slogan («Non credo in un’Italia che si chiude, ma che si spalanca», «Bisogna avere il coraggio di cambiare direzione») e individua nella riforma della tassazione e della giustizia civile, oltre che nel taglio dei costi dell’energia, i passaggi necessari per rimettere in moto gli investimenti. Tosi punta su taglio del debito e della spesa, ma vincola ogni speranza di cambiamento ad una riforma della Costituzione: «I problemi si prendono da dove cominciano, altrimenti si rischia di non combinare nulla». Saranno davvero loro i protagonisti futuri della politica italiana, come suggerisce il presidente di Confindustria Verona Giulio Pedrollo? «Un in bocca al lupo a lui per le sue battaglie, ma quelle tra me e Tosi tuttavia restano due partite diverse: lui nel centrodestra e nella Lega, noi ce la giochiamo, anche con le primarie, nel centrosinistra», ha detto Renzi. Concorda Tosi: «Restiamo su schieramenti diversi, ma se il mio avversario fa una proposta di buon senso, mi siedo al tavolo e ne discuto». Su una cosa, non hanno bisogno nemmeno di discutere: il «no» all’amnistia. Renzi lo ha ribadito ieri: «Aprire le carceri perché ci sono troppi detenuti è diseducativo per i nostri giovani». E Tosi: «Il sovraffollamento si risolve solo con la riforma carceraria».
Alessio Corazza