Origine carne trasformata, l’analisi della Commissione. Pubblicata la relazione al Parlamento Europeo e Consiglio: i consumatori UE vogliono l’origine, i 2/3 la fa coincidere con la provenienza da uno specifico Stato.
Mentre nei giorni scorsi è stata resa nota la scelta della Commissione in merito all’indicazione di origine per le carni fresche, congelate e surgelate (preconfezionate), entro il Regolamento 1337/2013, è stata anche presentata la proposta per etichettare le carni trasformate. Chiarendo alcune opzioni, e cercando di correre ai ripari rispetto allo scandalo dell’Horsegate. Proprio tale frode alimentare, con carne di cavallo sostituita a carne equina e rinvenuta in diversi prodotti di marca, ha sollecitato poi la relazione del Parlamento Europeo sulle frodi alimentari (a firma di Esther De Lange).
In tale relazione, sebbene si riconosca che l’origine della carne trasformata non sia in quanto tale uno strumento definitivo per la lotta alle frodi, se ne rileva l’utilità pratica nel rendere più trasparenti le filiere alimentari. Contribuendo ad una maggiore fiducia dei consumatori. La sintesi del documento di lavoro
Consumatori e origine
Se il 30-50% delle carni macellate è destinata a diventare carne usata come ingrediente in preparazioni, si stima che il 70% delle carni trasformate siano costituite da carne suina, il 18% da carni di pollame e un 10% da carni bovine. Ma cosa pensano i consumatori dell’origine nelle carni? Sebbene un 90% dei consumatori UE dichiari che l’attributo origine è assai importante, la situazione varia da paese a paese. E le cose si complicano qualora la si metta a confronto con altri requisiti. In base ad un primo studio considerato dalla Commissione Europea (FCEC), l’origine è al 5° posto su 11 attributi (con il 45% delle preferenze dichiarate), dopo gusto (82% delle preferenze), data di scadenza (62%) aspetto (61,3%), ed il prezzo (48,3%). Un secondo studio (GfK Consumer study on the meat market) l’origine è al 4° posto, su 15 attributi, dopo data di scadenza (68%), il prezzo unitario (67%) e a peso (67%).
In ogni caso, sebbene in pochi lo abbiano sottolineato, l’origine è tra i primi due attributi dopo aspetti che riguardano l’edibilità in senso stretto (prezzo e scadenza), e quindi, sicuramente un fattore trainante.
L’origine -sempre in base a tale studio- è più rilevante quando la carne è fresca (45% delle preferenze) che quando figura come ingrediente (38% delle preferenze). In ogni caso, per “origine” i 2/3 dei consumatori intendono lo Stato membro e non la semplice designazione “Ue” o “extra-UE” (solo 1/3 dei consumatori dà credito a tale soluzione).
Il paradosso: origine sì, ma senza costi
Sebbene i consumatori dichiarino di voler l’origine, sono disposti a pagare poco per averla (si pensa che con un aumento compreso tra il 5% ed io 9%, l’intenzione di consumo diminuisca del 60-80%). Tale aspetto è considerato paradossale dalla stessa Commissione Europea, ma rappresenta a ben vedere un classico delle indagini sui consumatori e indica diversi sistemi di valori, spesso in contrasto tra di loro, e che faticano ad essere espressi. Banalmente: non sempre come consumatori sappiamo quello che vogliamo.
Ma c’è di più- ci permettiamo di sottolineare. L’origine così intesa, va allora considerata come una sorta di pre-requisito commerciale, qualcosa che il consumatore chiede non all’operatore economico o all’allevatore; ma piuttosto al sistema istituzionale di riferimento. Qualcosa dato in qualche modo per scontato e che si vorrebbe di default. Un requisito di legge, non un attributo di marketing.
In ogni caso, si ritiene che nel caso si introduca tale obbligo, il 90% dei costi aggiuntivi verranno scaricati sui consumatori (e solo un 10% sui produttori).
Nell’opzione di una indicazione di origine più completa, i costi potrebbero aumentare in ragione di:
– Maggiori oneri amministrativi (per un aumento dei costi dell’8-12%)
– Maggiori oneri per le autorità di controlo (per un aumento dei costi del 10-30%)
Gli scenari della Commissione
A questo punto, sono 3 le opzioni che vengono proposte dalla Commissione:
1- Mantenere l’etichettatura volontaria e facoltativa. Non è previsto un aumento dei costi.
2- Introdurre origine Ue/non Ue oppure Ue/nome preciso del paese terzo. L’aumento dei costi è stimato tra lo 0 ed il 25%.
3- Introdurre origine con nome preciso dello Stato membro o nome preciso del paese terzo. L’aumento dei costi è stimato tra il 15-20 ed il 50%.
La delicata questione dello Stato membro
Ma come si definisce lo Stato membro? E’ il luogo di ultima trasformazione sostanziale, come acquisito dalla normativa attuale, o invece deve rappresentare lo Stato membro di allevamento, in conformità a quanto indicato anche dal Reg. 1337/2013?
Anche qui la Commissione è aperta a entrambe le ipotesi, a seconda delle tipologie di carne (carne separata meccanicamente, prodotti a base di carne, prodotti alimentari contenenti carne come ingrediente).
La Commissione rileva che l’opzione 2 (Ue/non Ue) rimane troppo generica e poco informativa. L’opzione 3, sebbene desiderabile, dovrebbe però considerare un aumento dei prezzi in carico ai consumatori.
I costi più elevati derivano da una filiera più rigida, che perde la possibilità di avvantaggiarsi di partite di carne spot.
Tracciabilità non è origine
Nella relazione la Commissione rileva come attualmente, i sistemi di rintracciabilità europei (in primis il reg. 178/2002 e poi il Reg. 931/2011) non siano stati designati appositamente per favorire un discorso di etichettatura dell’origine. Scontando piuttosto un limite forte, ovvero quello di indicare soltanto “un passaggio avanti e un passaggio indietro” nella rintracciabilità che ogni operatore alimentare è tenuto a ricostruire. Con l’assenza di un punto di osservazione integrato sulla filiera nel suo insieme (la cosiddetta “rintracciabilità a cascata”). Di conseguenza, le informazioni sull’origine tendono a fermarsi nelle prime fasi della filiera (impianti di macellazione e di sezionamento).
Conclusioni
Quella della Commissione, è solo un primo passo, entro un percorso che dovrà vedere le varie strade discusse dal Consiglio e dal Parlamento Europeo. L’esecutivo UE si premura di sottolineare che “tutti gli scenari possibili presentino vantaggi e svantaggi” e che nel caso, le azioni della Commissione potranno comprendere la presentazione di una proposta legislativa per disciplinare l’etichettatura d’origine delle carni usate come ingrediente nei prodotti alimentari.
Sicurezza Alimentare Coldiretti – 20 dicembre 2013