La carne può essere sostenibile? È la domanda che ormai da qualche anno sempre più persone si stanno facendo. Per vari motivi: salutistici, economici, ambientali, etici. La risposta è sì. Sempre che, ovviamente, la sua produzione e il suo consumo mantengano certe caratteristiche.
Facciamo quindi un passo indietro, e chiediamoci per prima cosa cosa si intende per carne sostenibile: è il prodotto che si ottiene da allevamenti in cui l’ambiente e il benessere animale sono tenuti in massima considerazione, e il cui consumo (moderato) porta benefici, e non danni, alla nostra salute.
Il motivo per cui si parla di sostenibilità della carne è che da circa vent’anni lo spazio occupato da salute, alimentazione e ambiente sui media è aumentato, con due conseguenze importanti: il pubblico ha sviluppato curiosità, conoscenze e interesse nei confronti del proprio benessere, diventando un consumatore più consapevole. Ma sono anche aumentate le opinioni, a discapito di fatti e dati, a volte fondate su ideologie, se non addirittura su vere e proprie bufale, così che informazioni scorrette si trasformano in verità dalla rapida diffusione. Dipingere il settore delle carni come il nemico numero uno è quindi un’estremizzazione e una distorsione, anche se con questo non si vuole negare che il consumo di carne nei Paesi più industrializzati – e in maniera crescente anche in quelli cosiddetti in via di sviluppo – sia eccessivo. Gli impatti ambientali di un chilogrammo di carne restano di ordini di grandezza superiori a quelli di un chilo di verdure.
Tralasciamo per un momento i risvolti positivi della zootecnia sull’economia italiana e le sue esportazioni (la sostenibilità non si limita al campo ambientale, ma considera anche quello economico e sociale, appunto), e focalizziamoci sui suoi impatti ambientali. Anche perché, generalmente, si tende confrontare gli alimenti solamente in questi termini. È vero che una dieta priva di carne porta ad avere minori emissioni di CO2 equivalente? No, non è necessariamente così. I diversi cibi non vengono consumati allo stesso modo e non hanno lo stesso valore nutrizionale. Se si paragonano le emissioni di CO2 dei diversi alimenti, infatti, si può notare che frutta e verdura, ossia prodotti che causano bassi livelli di emissioni, vengono consumati più frequentemente, e quindi la CO2 prodotta equivale a quella di alimenti con un alto valore di emissioni ma il cui consumo settimanale è ridotto, come le carni. Per ridurre le proprie emissioni di CO2, quindi, non è necessario eliminare completamente dalla propria dieta i prodotti di origine animale.
Al di là della necessità di andare oltre la visione limitante e parziale che la CO2 emessa dà dei nostri impatti ambientali, si può dire che la produzione e il consumo di carne possono essere sostenibili eccome. Basta rispettare le leggi, almeno in Europa, e le regole del buon senso. E andare oltre slogan pro o contro il consumo di carne, approcci ideologici e prese di posizione che, spesso, oltre a non stare né in cielo né in terra, possono distogliere la nostra attenzione dal vero problema: il modello di crescita infinita in un pianeta dalle risorse finite.
Andrea Bertaglio – Il Fatto alimentare – 8 aprile 2014