Contrordine. Elsa Fornero si rimangia la promessa fatta due settimane fa e annuncia che la prevista modifica sui contratti a tempo non sarà più fatta con un decreto ministeriale, ma lasciata alla trattativa fra le parti sociali. «La cosa più logica è che siano le pani sociali se vogliono a ridurre i tempi», dichiara intervenendo al convegno “ll welfare tra passato presente e futuro”, tenutosi a Roma.
«Su un intervento normativo su cui potremmo avere qualche difficoltà di approvazione in questa fase di fine legislatura”, motiva Fornero. La riforma che porta la sua firma infatti aveva allungato i tempi di pause fra un contratto a termine e l’altro innalzandolo a 60/90 giorni. La norma aveva incontrato le critiche delle imprese che la citavano come causa del mancato rinnovo in moltissimi casi a soli tre mesi dall’entrata in vigore della riforma. Sono passate solo due settimane, era il 16 ottobre, da quando la ministra del Welfare dalla sede del più importante quotidiano economico italiano annunciava: «Stiamo già lavorando a un decreto interministeriale, l’ipotesi è di ridurre a un mese al massimo il termine di sospensione tra un rinnovo e l’altro, gli uffici legislativi sono al lavoro». Con il suo dietrofront Fornero appoggia quindi La posizione dei sindacati, Cgil in testa, che avevano contestato la (promessa) modifica chiedendo invece che fosse lasciata alle parti sociali la durata della “pausa” da contrattare con le aziende in cambio ad un piano di stabilizzazioni trasformando i contratti a tempo indeterminato. Ieri Fornero ha commentato la prima sentenza di reintegro di un lavoratore licenziato a Bologna: «Come una rondine non fa primavera, cosi una sentenza non fa giurisprudenza», ha dichiarato. Sull’aumento dei licenziamenti registrato in questi mesi, la ministra ha sostenuto: «Osserviamo un aumento dei licenziamenti individuali ma questo non vuol dire necessariamente che la riforma li ha incoraggiati. Infine sul tema esodati, Fornero è tornata all’attacco: «Quando abbiamo domandato per mettere la clausola di salvaguardia, la risposta è stata cinquantamila. Il problema è diventato quasi ingestibile perché in parte è stato anche strumentalizzato. La salvaguardia dei requisiti pensionisti pre-riforma non può valere per tutti. Per esempio per chi è ancora a lavoro – ha detto – si può pensare a qualcosa di diverso, magari una sorta di solidarietà espansiva..
L’Unità – 30 ottobre 2012