Un super tecnico, una conferma e due ritorni. Mario Draghi scioglie la riserva, accetta di formare il governo di unità (di speranza?) nazionale e chiama accanto a sé quattro veneti, espressione di tre partiti diversi: il Movimento 5 Stelle, Forza Italia e la Lega, con un certo disappunto dei dem di qui.
Di Daniele Franco, neo ministro dell’Economia, si è già scritto molto negli ultimi giorni. Sessantotto anni, originario di Trichiana, nel Bellunese, laureato in scienze politiche a Padova e con un master all’Università di York nel curriculum, da poco più di un anno ricopriva la carica di direttore generale di Banca d’Italia e di presidente dell’Ivass, l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni. Come Draghi, con cui l’amicizia e la stima sono profonde e risalenti, è un civil servant ed è considerato un «guardiano dei conti»: per 6 anni, dal 2013 al 2019, ha guidato la Ragioneria generale dello Stato ed in quella veste finì più volte nel mirino dei Cinque Stelle, che lo accusavano di intralciare l’azione del governo con un’eccessiva attenzione al rigore (l’ex portavoce di Giuseppe Conte, Rocco Casalino, gli riservò epiteti poco gentili, auspicandone l’immediata rimozione). L’uomo giusto, deve aver ritenuto Draghi, per vigilare sul Recovery Fund, sbarrando la strada all’assalto alla diligenza.
Proprio tra le fila dei Cinque Stelle viene confermato nel ruolo, quello di ministro per i Rapporti con il parlamento, Federico D’Incà, bellunese come Franco o meglio, di Trichiana come Franco, 45 anni, laureato in economia a Trento, attivista della prima ora nei MeetUp fondati da Grillo. D’Incà, al secondo giro da deputato, è un esponente di primo piano della corrente che nel Movimento fa riferimento al presidente della Camera Roberto Fico ed uno dei più convinti sostenitori dell’alleanza strutturale, strategica e programmatica con il Pd, anche a livello territoriale (si spese in tal senso, perdendo la battaglia interna, alle ultime elezioni regionali contro Luca Zaia). Per lui un ministero senza portafoglio ma comunque di una certa importanza, visto che proprio in parlamento si dovrà fare sintesi dell’azione di questo governo omnibus , con dentro tutti e il loro contrario. «Ringrazio il presidente Draghi per avermi chiamato a far parte della nuova squadra di governo – il suo commento -. Esserci in questo momento rappresenta ancora una volta un grande onore e una grande responsabilità nei confronti del Paese».
Senza portafoglio anche gli altri due ministri veneti, che tornano a far parte di un esecutivo dopo aver già calcato quelle scene in passato. Renato Brunetta di Forza Italia, 70 anni, è un veterano: eurodeputato per dieci anni, tre legislature alla Camera, candidato sindaco sconfitto da Giorgio Orsoni nella sua Venezia, l’economista è stato ministro della Funzione pubblica dal 2008 al 2011, non senza polemiche. Arrivò infatti al ministero con intenzioni rivoluzionarie e parecchio bellicose, entrando presto in rotta di collisione con i precari («Siete l’Italia peggiore»), i poliziotti («Vedo troppi panzoni»), ovviamente i sindacati (all’apice dello scontro arrivò a ricevere 10 mila insulti sul suo profilo Facebook). Si vedrà se alla seconda occasione riuscirà a completare l’obiettivo che si era dato, ribaltare da cima a fondo il complesso mondo della «Pa» nel nome dell’efficienza e della velocità. Sul piano politico non sfugge il fatto che Brunetta sia stato in questi anni uno dei più strenui oppositori dell’appiattimento di Forza Italia sulla Lega e nelle ultime settimane il più acceso sostenitore dell’opportunità per il partito di Berlusconi di appoggiare il nuovo governo, recuperando la centralità perduta. Il Cav. lo ha ascoltato e lui entra nel governo.
Come Erika Stefani, 49 anni, vicentina di Trissino, nominata ministro per le Disabilità, ministero che nel governo Conte I fu appannaggio di un altro leghista veneto, Lorenzo Fontana, in abbinata con la Famiglia (che questa volta va, o meglio torna, a Elena Bonetti di Italia Viva). Stefani, solo omonima del coordinatore regionale del partito Alberto, si conferma una volta di più figura centrale per il Carroccio: senatrice dal 2013, membro del direttorio che guida la Liga veneta, è già stata ministro nel primo governo Conte, agli Affari regionali e alle Autonomie, costruendo in quel tempo un rapporto d’acciaio col presidente della Regione Luca Zaia. Che oggi commenta: «Auguro buon lavoro al professor Draghi e al suo governo, che nasce in un momento di grandi difficoltà, nella speranza che si possa recuperare il tempo perduto. Il Veneto porta le istanze poste dalla crisi causata dal Covid, chiede di realizzare un Recovery Fund che abbia realmente effetti sull’economia e sugli investimenti e poi ovviamente c’è l’autonomia: il dossier è sul tavolo del governo, pronto per la ripartenza». Per inciso: ad occuparsene sarà il neo ministro Maria Stella Gelmini, lombarda, di Forza Italia, si spera con maggior fo rtuna di chi l’ha preceduta. Infine, «un po’ veneta» è anche il neo ministro della Giustizia Marta Cartabia, che ha insegnato diritto costituzionale dal 2000 al 2004 all’università di Verona.
Soddisfatte le categorie. «Draghi è una persona eccezionale verso cui abbiamo una stima infinita, ha popolato il governo con figure tecniche di primissimo piano» dice il presidente di Confindustria Vicenza Luciano Vescovi. Fiducia anche dal numero uno degli Industriali veneti: «Il buon governo – dice Enrico Carraro – è fatto dal presidente del Consiglio. Ci sono dei ministri tecnici molto bravi. Colao, Giovannini… Poi c’è un ministro politico, Giancarlo Giorgetti, che è del Nord e conosce bene l’impresa, quindi il mio è un giudizio sostanzialmente positivo, che diventa positivo in virtù del capo del Governo». Per Roberto Boschetto, presidente di Confartigianato: «Quattro veneti nel governo sono un fatto importante, non era mai successo, almeno che io ricordi. L’essenziale ora è che Draghi sia forte e stia al riparo dalle pressioni dei partiti».