Daniela Minerva. Si fa un gran parlare dell’umanizzazione della medicina, anche se non si è ancora capito bene in cosa consista. E si chiede a gran voce che il medico mostri empatia verso il malato, addirittura pensando di insegnarne l’arte all’università. Col cuore in mano, chi potrebbe negare il valore etico di questo new trend? Ma restano alcuni dubbi.
E a esprimerli autorevolmente è il Lancet che, recensendo un saggio dal titolo “The Empathy Exam”, mette in chiaro quello che tutti vediamo, anche se non piace. A partire dal fatto che medici e pazienti sono individui dotati di anima, a volte incompatibile. Che non sempre un malato vuole condividere i suoi sentimenti col sanitario; e che al medico sapere dettagli intimi può non far bene. Ascoltare, capirsi: bello, ma difficile anche tra amici, tra coniugi. Il dubbio è che in ospedale diventi una foglia di fico. Anche un po’ grottesca se si pensa che i medici hanno i tempi di visita contingentati dall’Azienda. Più di un quarto d’ora, e paghi pegno. Non sarebbe meglio chiedere più attenzione clinica, più sapienza medica invece che un’amicizia campata in aria e francamente impossibile?
Repubblica – 17 novembre 2015