I voucher saranno tracciabili. È la prima misura che il governo intende adottare per cominciare a contrastare l’abuso del ricorso ai “buoni” per la retribuzione del lavoro accessorio che in un anno è cresciuto del 66 per cento. Lo ha annunciato ieri il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, nello stesso giorno in cui dall’Inps sono arrivati i dati sulla frenata delle assunzioni nel mese di gennaio, il primo senza decontribuzione totale.
Certo, come ha detto lo stesso ministro, il calo di gennaio (- 52 per cento le assunzioni in generale al netto delle cessazioni, -58 per cento quelle a tempo indeterminato) era prevedibile, ma a questo punto, e soprattutto se il trend sarà confermato dalle prossime rilevazioni, vuol dire che gli sgravi hanno avuto un effetto distorsivo nel mercato del lavoro, che, dunque, è destinato ad allinearsi progressivamente all’andamento non proprio brillante del Pil. D’altra parte non è di poco conto osservare che le assunzioni nel mese di gennaio 2014 (quando non c’era la decontribuzione e l’Italia era ancora in recessione) sono state poco più di 156 mila, ben 50 mila in più delle 106 mila registrate nel gennaio di quest’anno, mentre sono state oltre 176 mila nel gennaio 2015, primo mese con l’azzeramento dei contributi. Insomma, per quanto i numeri di gennaio potranno essere suscettibili di qualche modifica, l’attenuazione della decontribuzione (ora scesa al 40 per cento e per un biennio contro il triennio precedente) comincia a farsi sentire. Così se nel mese di dicembre 2015 la percentuale dei rapporti a tempo indeterminato sul totale di quelli attivati era del 66,4 per cento (picco assoluto dal 2014), a gennaio è scesa al 34,3 per cento.
C’è poi “un altro” mercato del lavoro, quello dei voucher che segue traiettorie del tutto anomale, in relazione all’entità e alla distribuzione geografica. Due dati — ricordati ieri dall’ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano — per comprendere la capillarità del fenomeno: nel 2008, l’anno cui vennero introdotti i buoni, se ne utilizzarono 500 mila, l’anno scorso 115 milioni. Solo nel mese di gennaio di quest’anno ne sono stati usati oltre nove milioni. Un vero boom (soprattutto nelle regioni del Sud) dietro al quale è facile immaginare che si nasconda lavoro nero. Il governo ha avviato un’indagine che sarà pubblicata presto; l’Inps, che ha i dati a disposizione, sta studiando il fenomeno. Con i primi decreti correttivi al Jobs Act, che potrebbero arrivare entro maggio, l’esecutivo — l’ha annunciato il ministro Poletti — introdurrà un meccanismo per rendere tracciabile il voucher. Come? «Prevedendo l’obbligo per l’impresa di una comunicazione via sms o telematica prima dell’utilizzo del voucher», ha spiegato Poletti durante il “question time” ieri alla Camera. Ma non è detto, come ha riconosciuto lo stesso ministro, che sia sufficiente. I voucher sono stati introdotti dalla “legge Biagi” (2003) per prestazioni accessorie e occasionali, come lavori di giardinaggio, piccoli lavori domestici, manutenzioni, ecc, e per i giovani con meno di 25 anni. Poi è stata la “riforma Fornero” del mercato del lavoro (quella del 2012) che ha allargato a tutti i settori, compresi gli enti locali, la possibilità di ricorrere ai “buoni lavoro” per attività esclusivamente accessorie e non più anche occasionali. Si è liberalizzato il voucher. Attualmente esiste solo un limite economico al suo utilizzo: il prestatore non può percepire più di 7.000 euro netti l’anno, con un tetto di 2.020 euro da ciascun committente. Tetti che — secondo i sindacati — dovranno essere abbassati per riportare, anche in questo modo, i voucher alla loro funzione originaria.
Repubblica – 17 marzo 2016