Trasparenza atto terzo. Il primo si è aperto alla fine del 1990, quando è arrivata la legge 241 sull’accesso agli atti amministrativi. Il secondo ha compiuto tre anni di vita giusto lo scorso 20 aprile: si tratta del decreto 33 del 2013, ribattezzato anti-corruzione. L’ultimo arrivato è il Foia (il Freedom of information act), che prende le mosse dalle norme del 2013 per introdurre anche in Italia ciò che in Gran Bretagna esiste dal Duemila, ovvero la possibilità per il cittadino di chiedere alla pubblica amministrazione tutti gli atti che quest’ultima possiede.
Un cammino lungo 26 anni, dunque, contrassegnato da pervicaci resistenze della burocrazia a mettersi in mostra. Il diritto di accesso del ’90 era (ed è) limitato, nel senso che il cittadino deve dimostrare di avere un interesse rispetto ai documenti che chiede alla Pa. Per esempio, posso vedere gli atti di un concorso pubblico se vi ho partecipato. Questi vincoli sono stati amplificati dalle prese di posizione degli uffici, maldisposti ad aprire i cassetti, che dal ’96 in poi hanno anche utilizzato come sponda le esigenze della privacy. «Questi dati non possono essere forniti perché c’è la tutela dei dati personali», è stata spesso la risposta dietro cui la Pa si è trincerata. Sono state le sentenze dei Tar e del Consiglio di Stato a convincere le amministrazioni a cambiare idea e convertirsi, pian piano, alla trasparenza. E anche il Garante della privacy ha più volte richiamato gli uffici all’ordine, invitandoli a non utilizzare la riservatezza come alibi.
Nel 2013 il salto di qualità: la trasparenza diventa a portata di click e si fa più penetrante. Le amministrazioni devono pubblicare sui propri siti una lunga serie di dati: gli stipendi dei politici,le liste d’attesa delle strutture sanitarie, le consulenze, i dati sul personale, i bandi di concorso, i beneficiari di sovvenzioni e sussidi e così via. Dati di semplice consultazione, forniti in formato aperto e a cui i cittadini devono poter accedere online senza costi.
Il monitoraggio
Come hanno reagito le amministrazioni? Di certo c’è che ogni realtà pubblica – dal ministero al piccolo comune – ormai ha sul proprio sito istituzionale la sezione apposita denominata “Amministrazione trasparente”. Il problema è che dietro quell’etichetta ipertestuale si schiude un mondo difficile da monitorare. Ci ha provato il ministero della Pubblica amministrazione con lo strumento della Bussola della trasparenza, che però non è in grado di rilevare la tipologia e la qualità dei dati inseriti online. Secondo la Bussola, quindi sarebbero in regola con le norme sulla trasparenza oltre l’85% delle amministrazioni.
Ma tra i “segreti” meglio custoditi delle Pa ci sono la mappa delle società partecipate (si vedano le schede a fianco), i dati aggregati sugli appalti (praticamente introvabili in rete informazioni sui tempi di attuazione e sulle varianti)e l’elenco dei controlli gravanti sulle imprese.
All’appuntamento con la trasparenza, poi, gli enti arrivano in ordine tecnologico sparso: qualcuno riesce a pubblicare in formato aperto e rielaborabile, i più si affidano all’immutabile Pdf.
La riforma
Il decreto approvato la scorsa settimana interviene anche sugli obblighi informativi (si vedano le schede a fianco) con due obiettivi: in alcuni casi il perimetro si allarga (ad esempio le informazioni su redditi e patrimoni si estendono dai politici ai dirigenti pubblici); dall’altro si scommette su un alleggerimento degli oneri. Molti degli obblighi di trasparenza, infatti, saranno assolti con l’invio delle notizie ad alcune banche dati pubbliche a cui basterà rinviare con un link. Sarà così, ad esempio, per i rendiconti dei gruppi politici regionali e provinciali (da spedire alla Corte dei conti), per le informazioni sui bandi di gara, le aggiudicazioni e i costi dei lavori pubblici (ad Anac e Infrastrutture), per quelle sulle società partecipate (al Siquel).
Il decreto Foia non chiarisce come queste banche dati – per ora non accessibili – restituiranno queste informazioni. E per capirlo bisognerà aspettare un anno: questo è il lasso di tempo concesso a tutte le amministrazioni per riorganizzare l’invio alle banche dati.
Antonello Cherchi e Valeria Uva – Il Sole 24 Ore – 23 maggio 2016