Per snellire le attese al pronto soccorso, per accelerare le pratiche di chi arriva con un codice bianco e non ha bisogno di cure specialistiche ma può essere accompagnato per avere una risposta rapida: a Treviso, all’ospedale Ca’ Foncello, è stato inaugurato ieri mattina il primo ambulatorio veneto dedicato ai casi non urgenti.
L’aveva promesso appena insediato il direttore generale dell’Ulss 9 e commissario provinciale Francesco Benazzi e sette mesi dopo il servizio è in funzione. Smaltisce tre casi all’ora in due nuovi ambulatori con 18 medici di continuità assistenziale (e cinque nuove assunzioni), ha una sala d’attesa climatizzata di cinquanta posti, una nuova postazione per il triage (il primo contatto per lo smistamento dei pazienti), prese per ricaricare il telefono, monitor informativi, riviste e acqua fresca, hostess e steward che accolgono i pazienti, un sistema informatico che riduce il tempo di registrazioni con il fast track (registrazione veloce).
È arrivato anche il presidente della Regione Luca Zaia per battezzare l’ambulatorio dei codici bianchi: «Questa di Treviso è una sperimentazione ma, se funziona come sono certo succederà, la esporteremo anche negli altri pronto soccorso del Veneto».
Quando Benazzi e Zaia hanno visitato la sala e i nuovi ambulatori, un paziente ha avvicinato il governatore: «Qualche tempo fa ho aspettato dieci ore prima di entrare» si è lamentato. Non è difficile credergli, soprattutto in certi giorni e in particolare nei week end. «L’obiettivo è non superare mai la soglia di quattro ore d’attesa per le patologie meno gravi, e questo strumento può essere una risposta» ha detto Zaia.
I numeri, dopotutto, parlano chiaro. Il pronto soccorso di Treviso nel 2015 ha trattato oltre 91 mila accessi (è uno dei più grandi della regione): 2.158 codici rossi, 17.835 codici gialli, 28.788 verdi e 42.835 bianchi, quasi la metà.
Questo dato è in calo rispetto al 2014, ma è ancora da tagliare perché le sale non si riempiano di persone che attendono ore prima di essere visitate, e la fila si allunga non appena sopraggiunge un ferito grave o un paziente in emergenza.
Per molti di questi 42 mila accessi, se non per la totalità, spesso basterebbe una visita ambulatoriale e sarebbe sufficiente fare ricorso al medico di base. Ma vuoi per gli orari incompatibili, vuoi perché è il giorno in cui «il dottore» non è di turno, arrivano tutti al Ca’ Foncello. È questa la prossima sfida della sanità: «Con questo ambulatorio potremo arrivare più facilmente al rispetto delle quattro ore di attesa – afferma Benazzi –, ma dobbiamo migliorare anche l’appropriatezza della scelta del pronto soccorso». E qui è importante la collaborazione dei medici di famiglia e delle medicine di gruppo: ne sono state già attivate centoventi in Veneto, e l’obiettivo è arrivare a trecento perché il servizio sia il più capillare possibile, rispondendo alle esigenze dei cittadini senza ricorrere alle strutture ospedaliere.
Il paziente che ora si presenta al «triage» quando riceve un codice bianco viene indirizzato allo specifico ambulatorio e visitato da un medico incaricato del servizio. Segue quindi un percorso proprio, che muta solo in presenza di sospetti clinici che richiedano approfondimenti specialistici o esami strumentali.
Dall’attivazione, il primo luglio, ha gestito circa tre casi all’ora: il codice bianco non rimane più in coda agli altri, segue la sua strada privilegiata, e i medici di urgenza ed emergenza si concentrano su chi ha più bisogno di aiuto. L’intervento di adeguamento dei locali è costato 140 mila euro, e altri duecentomila mila sono stati spesi per aggiornare il sistema informatico con un software che rafforza i percorsi rapidi fast track.
C’è perfino un sistema biometrico di lettura dell’impronta digitale: l’operatore esegue l’autenticazione con un risparmio che arriva a quaranta secondi per ogni apertura e chiusura di sessione, e in una giornata può recuperare fino a due ore.
L’ambulatorio codici bianchi è aperto dalle 13 alle 19 dal lunedì al venerdì e ventiquattr’ore su ventiquattro il sabato e nei giorni festivi, quando gli studi medici sono chiusi.
I numeri del capoluogo della Marca sono uno specchio di quello che succede in tutto il Veneto: l’obiettivo è ridurre gli accessi dei codici bianchi in tutti i pronto soccorso e Treviso fa da test. «Poco meno di metà dei due milioni di persone che ogni anno sono assistite dai nostri reparti di emergenza non dovrebbero essere lì – chiude Zaia -, ma trovare assistenza sul territorio, dal proprio medico di base».
Silvia Madiotto Il Corriere del Veneto – 19 luglio 2016