Daremo l’addio (almeno formalmente) alla legge di Stabilità, avremo un bilancio sperimentale di genere e una spending review permanente. La cessione dell’Ilva potrà passare alla fase operativa. La legge di delegazione europea 2015 taglierà il traguardo, ma un anno dopo. E poi arriverà il timbro per la proroga del processo amministrativo telematico. Ma anche per il ripiano del disavanzo da 1,5 miliardi della spesa farmaceutica 2013-2015 a carico delle industrie. E per il pareggio di bilancio di Comuni e Regioni. Tutto qui, o solo poco di più.
Nell’affannosa e, come al solito, frenetica corsa di fine estate a svuotare i cassetti, il Parlamento si dovrà “accontentare” al massimo di otto leggi in più. Perché, nonostante i classici sacchetti di sabbia per barricarsi dalle imboscate politiche sempre in agguato, il calendario di fine stagione messo in cantiere dovrà raffreddare le speranze.
Niente legge sulla concorrenza che torna alla Camera, complicato avanzamento (con fiducia?) per prescrizione lunga e nuovo processo penale, processo civile che resta nelle secche.
Probabilmente neanche il lavoro autonomo taglierà il primo traguardo. Tutto rinviato a settembre, magari ad autunno inoltrato, in mesi turbolenti, quelli sì, sotto referendum popolare. E sotto manovra 2017 con tutti i suoi carichi da novanta: pensioni (si vedano i servizi a pagina 4), fisco, spending review, lavoro pubblico, finanza per la crescita.
A 40 mesi dall’inizio della XVII legislatura e a 29 dall’ingresso di Matteo Renzi a palazzo Chigi, le Camere si preparano a due settimane di fuoco. Per venerdì 5 agosto, santa Maria della Neve, contano «al massimo» di chiudere e andare in vacanza. Con 235 leggi già incassate ma anche tante altre che continuano ad aspettare. Intanto il Governo ha fatto un pienone dell’81 e rotti per cento tra tutte le leggi approvate, il record dei record dei voti di fiducia e già ben 52 decreti legge (il 28% di tutte le leggi fatte) presentati, che salgono a 80 considerando anche i 25 di Enrico Letta e i 3 ereditati da Mario Monti.
Insomma, bilanci da mattatore per il Governo in Parlamento. Anche considerando – al di là dei giudizi di merito – il peso di non pochi provvedimenti portati all’incasso: la riforma della Pa, quella della scuola, il Jobs act, l’addio al Senato e al federalismo, tra le più pesanti (e discusse). Fatto sta che mentre inizia la china discendente del 2016, e in pratica anche della legislatura (sia che termini nel 2018, sia che si anticipi il voto al 2017), le due settimane che abbiamo davanti, e tanto più da settembre in poi, saranno cruciali per il cammino di tanti provvedimenti in cantiere anche da tempo. Ai quali si aggiungeranno le mosse della manovra 2017, e non solo. Si pensi che ci sono ritardi da più di 1.000 giorni (l’assicurazione dei medici), da 884 giorni (trial clinici e Ordini sanitari), 489 (concorrenza), 590 (processo penale-prescrizione), 501 (processo civile). E neppure finiranno qui.
Forse è anche per questo che le Camere hanno immaginato di poter correre veloci in queste ultime due settimane di apertura fino al 5 agosto. In verità, i parlamentari lavoreranno «al massimo» 6 giorni. Accontentandosi di mandare in Gazzetta Ufficiale il minimo sindacale. E necessario, a cominciare dalla conversione in legge dei tre decreti oggi in vigore per evitarne la decadenza. Altri voti di fiducia vanno dati pressoché per sicuri.
Ma intanto, più che le leggi che arriveranno, a far rumore sono soprattutto quelle destinate ad attendere ancora. E chissà per quanto. Il Collegato su cinema e spettacolo, al Senato in prima lettura, è nel calendario dell’aula, ma dovrà ritagliarsi uno spazio difficile. La riforma dell’editoria, che dovrebbe tornare alla Camera in terza lettura, non è ancora emersa dai lavori della commissione. Stessa cosa per il Ddl parlamentare sul lavoro degli autonomi. Qualche speranza può avere la lotta al caporalato, sempre a Palazzo Madama. O le misure contro gli sprechi alimentari. Assai meno il diritto di cittadinanza o il reato di tortura, vittima del centrodestra. Perché sono anche gli “ostaggi” che fa la politica a mettere la museruola a leggi buone e giuste.
Come è la politica a decidere se far camminare rapidi o a passo di lumaca i provvedimenti. A volte, non è questione di riforma costituzionale.
Roberto Turno – Il Sole 24 Ore – 25 luglio 2016