Alda Vanzan. Emergenza Pfas, potrebbero esserci problemi anche per la produzione del vino. È quanto emerge dall’audizione di Raniero Guerra, direttore generale della direzione prevenzione sanitaria presso il ministero della Salute, in Commissione bicamerale sulle ecomafie. La Commissione, presieduta da Alessandro Bratti, si occupa di attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, ma da alcuni mesi si è concentrata anche sull’inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche, le cosiddette Pfas, con un focus sulla situazione veneta.
Ebbene, sul sito della Camera è ora disponibile il resoconto stenografico della seduta del 6 luglio durante la quale fu ascoltato e “interrogato” il funzionario del ministero della Salute. Tre i punti salienti di quella audizione. Il primo è che non solo i Pfas a catena lunga, ma anche i Pfas a catena corta – in pratica quelli di nuova generazione che vengono utilizzati in vari campi, compreso quello conciario – sarebbero potenzialmente pericolosi.
Guerra ha citato uno studio compiuto a Tarragona, in Spagna, “in cui veniva dimostrato un accumulo di Pfas a catena corta in fegato, polmoni, ossa, rene e cervello su materiale autoptico derivato da una settantina di cadaveri”. L’esperto ha tuttavia precisato che “non ci viene ancora permesso di stabilire un nesso quantitativo e un valore soglia”.
Il secondo punto saliente riguarda la mancanza di limiti di queste sostanze: l’Istituto Superiore di Sanità (Iss) si è rifatto all’esperienza tedesca fissando prudenzialmente il limite massimo di 0,5 microgrammi per litro. Ma nel frattempo si sono mosse la Commissione europea e l’Organizzazione mondiale della sanità, solo che non sono ancora arrivate indicazioni precise. Il terzo aspetto riguarda gli effetti che queste sostanze perfluoroalchiliche possono avere sugli alimenti e, quindi sull’uomo. «La nostra preoccupazione maggiore è l’infiltrazione nella falda – ha detto il funzionario del ministero della Salute – Ci preoccupa molto anche la questione relativa alla matrice alimentare. Il forte dubbio che abbiamo è che queste sostanze entrino anche nel ciclo di produzione del vino, quindi nella contaminazione dell’uva, che ovviamente sarebbe, dal punto di vista della produzione agricola e del valore aggiunto dell’esportazione e del consumo, un fatto particolarmente rilevante».
Il giudizio sull’operato della Regione Veneto è positivo: «Credo che la Regione Veneto abbia intrapreso una strada assai virtuosa, nel senso di una messa in protezione delle fonti d’inquinamento e della popolazione, ma anche nel senso di un’informazione estremamente trasparente verso la popolazione stessa». Il quarto aspetto è quello che lo stesso Guerra definisce «grido di dolore», ossia la mancanza di collegamento tra enti, ministeri compresi. «Abbiamo appreso, del tutto casualmente, che il Ministero dell’ambiente sta procedendo al recepimento della direttiva n. 80 del 2014 sulla protezione delle acque sotterranee, che ci viene detto sarebbe in discussione alla Camera ma senza alcun coinvolgimento da parte del Ministero della salute».
Il Gazzettino – 18 agosto 2016