La pressione fiscale aumenta. Lo certifica l’Istat, che ieri ha diffuso il Conto trimestrale delle amministrazioni pubbliche. Nel primo trimestre di quest’anno «la pressione fiscale è risultata del 38%, in aumento di 0,3 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente», si legge nel bollettino dell’istituto di statistica. È il dato più alto dal 2015 riferito al primo trimestre, che di solito è quello con il livello di pressione più bassa. Essa infatti sale nei successivi tre trimestri con il susseguirsi delle scadenze fiscali (nel 2018 si è attestata al 42,1% del Pil).
Certo, sull’aumento del primo trimestre 2019 ha pesato la frenata del Prodotto interno lordo (sceso dello 0,1% rispetto al primo trimestre 2018), essendo la pressione fiscale il frutto del rapporto tra le entrate e lo stesso Pil. Ma analizzando nel dettaglio i dati si vede che, in termini assoluti, le imposte dirette sono salite nel primo trimestre 2019 dello 0,4% rispetto allo stesso periodo del 2018, che quelle indirette sono aumentate dell’1,2% e i contributi sociali del 2,6%. In diminuzione del 5,6%, invece le imposte in conto capitale. Dati cavalcati dalle opposizioni. «Le tasse sono aumentate per colpa del governo», dice il leader del Pd Zingaretti. «Stanno facendo male al Paese», aggiunge Berlusconi (Forza Italia).
Sul Fisco ieri è intervenuta anche la Corte dei conti lanciando un monito sulla flat tax nel giudizio sul rendiconto generale dello Stato 2018. Un riordino delle deduzioni fiscali e un riassetto delle tasse sono prioritari, ha detto il procuratore generale della Corte dei conti, Alberto Avoli, leggendo la sua relazione davanti a una platea dove in prima fila sedevano, tra gli altri, il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti. Ma la riforma che propone la Lega di Matteo Salvini, imperniata sull’aliquota Irpef del 15%, avverte Avoli, se finanziata in deficit, cioè senza le massicce coperture necessarie, «potrebbe avere ripercussioni gravi, tali da annullare o ridurre molto i benefici della rimodulazione delle aliquote», perché è evidente che le conseguenze di un aumento del deficit e del debito pubblico ricadrebbero sugli stessi contribuenti. Un debito, ha avvertito Avoli, che non può aumentare «a dismisura» e ha «probabilmente raggiunto i limiti massimi di sostenibilità», essendo oltre il 132% del Pil. E che ogni anno ci costa circa 65 miliardi di euro di interessi sui titoli di Stato.
L’unica nota di sollievo viene dal potere d’acquisto delle famiglie, che l’Istat segnala in crescita dello 0,9% nel primo trimestre dell’anno rispetto al trimestre precedente, dopo che si erano registrati due cali consecutivi. Il dato positivo, spiega il direttore centrale della Contabilità nazionale dell’Istat, Gian Paolo Oneto, è stato favorito dalla frenata dei prezzi. In realtà, aggiunge, è dal 2012 che, al netto di qualche caduta momentanea, c’è stato un recupero del reddito disponibile, ma ad un ritmo insufficiente, tanto è vero che «siamo ancora sotto i livelli del 2011, per non parlare del 2007: dopo 12 anni dobbiamo ancora recuperare circa 7 punti». In Europa, tranne la Grecia, non c’è nessun Paese che ha fatto peggio. In questo clima di incertezza, «la risalita del reddito — dice l’Istat — si è tradotta in misura molto limitata in maggiori consumi, mentre è aumentata la propensione al risparmio», pari all’8,4% del reddito disponibile, in crescita dello 0,7 rispetto al trimestre precedente.
Il Corriere della Sera