Le autorità del Canton dei Grigioni sostengono che la decisione fosse inevitabile. Per il Wwf si poteva fare di più per salvarlo
L’orso trentino denominato «M13» è stato ucciso in Svizzera a causa degli eccessivi e pericolosi suoi avvicinamenti ai centri abitati. Il plantigrado, che da tempo era monitorato dal personale del Corpo Forestale, si era svegliato dal letargo invernale e aveva cominciato a muoversi in modalità rischiose avvicinandosi ai centri abitati. L’abbattimento è avvenuto nel Cantone dei Grigioni. Il popolo di Facebook che appartiene ai fan dell’orsetto (M13, 3.700 amici) ne scrive con tristezza: «Riposa in pace. Adesso nessuno ti farà più del male», e ancora: «Emmino, tu sempre nel cuore».
M13 aveva avuto nel passato più comportamenti ostili all’uomo, prima in Alto Adige poi in Svizzera. L’animale aveva sbranato e ucciso delle pecore e un cavallo, senza mai mostrare timore per la presenza dei valligiani attorno a lui. Anche il radio-collare che gli uomini del Servizio Foreste della Provincia autonoma di Trento gli avevano installato al collo era stato dal plantigrado strappato e reso inutile. Da qui la decisione delle autorità svizzere di sopprimerlo per evitare gravi rischi per la collettività.
Il Wwf ha criticato le autorità svizzere per l’abbattimento di M13. «L’abbattimento – affermano gli ambientalisti della sezione austriaca – è avvenuto troppo presto. Andavano invece intensificate le azioni di dissuasione». Secondo il Wwf, «l’orso è morto perché non era accettato in Val Poschiavo a causa della mancata informazione della popolazione». Un atto definito ’inammissibile’: «M13 non era un orso problematico, nei mesi scorsi ha solamente mostrato un atteggiamento confidente che non giustifica minimamente l’applicazione della norma, prevista dal Piano di azione svizzero, dietro cui si nascondono le autorità elvetiche. Così si rischia di spazzare via in pochi anni gli sforzi di conservazione messi in piedi dall’Unione Europea e dagli enti italiani per mantenere nelle nostre Alpi un gioiello prezioso come l’orso». « Chiediamo al Governo italiano», ha dichiarato Massimiliano Rocco responsabile Specie, TRAFFIC e Foreste del WWF Italia, che al momento ha la Presidenza della Convenzione delle Alpi, «di inviare una protesta formale al Governo Svizzero e di adoperarsi affinché si esca dalle logiche dei singoli Stati e ci si impegni a gestire la popolazione alpina di orso come una popolazione che appartiene a tutti i Paesi che condividono il territorio alpino. Simili decisioni non possono più essere assunte unilateralmente».
Le autorità svizzere difendono l’abbattimento che sarebbe stato «inevitabile». L’orso , affermano, seguiva gli uomini di giorno fino nei centri abitati e non mostrava paura nonostante gli interventi di dissuasione.
Quattordici anni di lavoro sprecato
di FULCO PRATESI. Nel 1990 gli orsi bruni delle Alpi erano rimasti solo in 2 (due). Dopo secoli di persecuzioni, bracconaggio, riduzione dell’habitat, guerre, incidenti, questo magnifico rappresentante della fauna alpina, che figura addirittura nello stemma di papa Benedetto XVI e negli emblemi di tante città, compresa Berna, era ormai a un passo dall’estinzione. Scomparsi da tutta la catena, gli ultimi orsi sopravvivevano solo in Trentino. Già prima che nel 1999, 14 anni fa, l’operazione Life Ursus, finanziata dall’Unione Europea, col Parco Adamello Brenta, la Provincia di Trento e altri collaboratori tra cui il Wwf, portasse alla liberazione dei primi due esemplari provenienti dalla Slovenia, si era tentato, con scarso successo, il ripopolamento del plantigrado. Nel 1960, due giovani orsi dei Carpazi, provenienti dallo Zoo di Praga, furono rilasciati in Val di Lares ma, dato che erano troppo confidenti, furono ricatturati e chiusi in un recinto presso Trento; nel 1969 altri due cuccioli vennero liberati in Val di Genova, e poi ripresi; nel 1974, ultimo tentativo della Provincia di Trento, anch’esso abortito. Il progetto, che ha portato finalmente a un nucleo di circa 40 esemplari, ha richiesto anni per condizionare i capi rilasciati, per ottenere, con apposite campagne di informazione, una riabilitazione dell’immagine di questa specie, mite e mai aggressiva, e per prevenire danni al bestiame, ai frutteti o agli alveari. Ma questa difficile impresa è stata compromessa, negli ultimi anni, dall’uccisione di ben tre esemplari, uno in Baviera e due in Svizzera, un Paese dove sono nate la Convenzione di Berna e il Wwf. Adesso, dato il crescente disinteresse politico alla protezione di questo tesoro zoologico, occorre che a tutti i livelli ci si muova per evitare altre dolorose e inammissibili perdite, anche in Italia.
Corriere della Sera – 21 febbraio 2013