La direttrice dell’Istituto zoo profilattico Maria Caramelli: ma niente panico. La segnalazione al ministero della Salute è partita ieri pomeriggio, firmata da Maria Caramelli, direttrice dell’Istituto zooprofilattico del Piemonte.
Che cosa rivelano le analisi sui cinghiali del comprensorio alpino della Valsesia analizzati nei vostri laboratori? «Abbiamo trovato tracce di cesio 137 dieci volte superiori ai livelli massimi stabiliti in caso di incidente nucleare: 5000 Becquerel. Valori altissimi, più o meno gli stessi segnalati in Germania nel 2008 dopo il disastro nucleare della centrale di Cernobil. Limiti che non abbiamo riscontrato invece nei test sui capi abbattuti nella pianura della Valsesia e in una zona presa a campione del Cuneese». Significa che in alta Valsesia c’è nell’aria l’isotopo radioattivo riconducibile a Cernobil? «La comunità scientifica ha ormai dichiarato il cesio 137 come marcatore di Cernobil. Potrebbe aver raggiunto quelle aree del Piemonte spinto dai venti. Ma il problema non è l’aria, il problema è il terreno: il cesio si deposita nel terreno. Motivo per cui abbiamo convocato per domani una riunione urgente con la Regione. Dobbiamo decidere che cosa fare, arrivati a questo punto. Non è più periodo di caccia, ma proporremo che il prossimo anno, nelle zone dove sono stati trovati i cinghiali positivi ai test, sia vietato cacciare, o comunque immettere quegli animali nel circuito alimentare. Per il resto aspettiamo indicazioni». Ci sono provvedimenti immediatamente necessari, a suo parere? «Il cesio 137 ha un’emivita di circa 30 anni. Il pericolo è nell’alimentazione dei cinghiali, nei tuberi: tartufi e funghi. Ma anche nei frutti di bosco e nell’insalata. Per questo motivo i funghi che vengono importati sono sottoposti a controlli. Immagino si dovrà procedere a prelievi e a nuove analisi. Poi si dovranno valutare eventuali altre fonti di radioattività geograficamente vicine». Perché avete analizzato quei cinghiali? «Dopo l’entrata in vigore della normativa per cui gli animali cacciati possono essere utilizzati nell’alimentazione esiste dal 2003 una raccomandazione europea che suggerisce anche nei cinghiali la ricerca di radio-contaminanti, oltre che del parassita trichinella. È una direttiva in realtà applicata finora sporadicamente. Quest’anno il nostro Istituto ha deciso di fare controlli sistematici, e i risultati dimostrano che abbiamo fatto bene». Qual è il rischio per chi si nutre di carne contaminata o dei tuberi radioattivi? «Il pericolo, come a Cernobil, è lo sviluppo di tumori e malformazioni. Ma sia chiaro, niente panico: non ci si ammala mangiando un piatto di funghi, un’insalata oppure un salame di cinghiale. Parliamo di una contaminazione prolungata nel tempo».
fonte: La Stampa – 9 marzo 2013