Sono passati pochi mesi dall’entrata in vigore della legge 190/2012 che ha ridisegnato alcuni reati e rimpostato la disciplina in materia di anticorruzione in Italia. Un’occasione che nei piani del governo avrebbe dovuto contribuire a ridare fiducia a un sistema fortemente screditato all’estero e spesso motivo di mancati investimenti o peggio ancora, ritirate, da parte di multinazionali estere.
Questa norma tuttavia ha introdotto molti aspetti positivi anche se, a sentire i legali d’impresa e gli avvocati d’affari, si sarebbe dovuto e potuto fare di più.È importante tuttavia, dicono i legali, il messaggio che trapela tra le righe del testo. Dai primi commenti emerge infatti la convinzione che il presidio interno aziendale anticorruzione ha sì compiti di formazione e vigilanza ma, soprattutto, quando rileva o si imbatte in una patologia, deve saper reagire e guidare le verifiche interne e cooperare con la magistratura con riconosciuta reputazione e autonomia interna ed esterna.
Solo in questo modo, aggiungono gli avvocati, la vera cooperazione tra autorità e società potrà efficacemente funzionare nell’interesse generale. Secondo i professionisti, comunque, le aziende non commettono crimini, e se succede questo è comunque da ricondurre a persone fisiche. Occorre insomma sempre lasciare all’impresa la facoltà (anzi l’obbligo) di reagire con serietà e senza reazioni politiche o mediatiche. La cosiddetta responsabilità amministrativa, quindi, sempre secondo gli avvocati interpellati, sarebbe solo conseguenza dell’incapacità dell’azienda di organizzarsi adeguatamente per contrastare, per quanto possibile, queste condotte.
ItaliaOggi – 30 aprile 2013