Sulla carta la riforma della sanità introdotta dalle schede, che taglia 1227 letti agli ospedali per regalarne 1263 alle strutture del territorio e che dopo l’approvazione in giunta regionale deve passare al vaglio della V commissione, è condivisibile.
Ma è davvero concretizzabile entro il 2015, è finanziata e, soprattutto, risponde ai reali bisogni della gente che sta male?
Se lo chiedono camici bianchi e malati, i primi attori della rivoluzione del sistema, che non nascondono perplessità e timori. «In questo momento non è pronto niente—rivela Domenico Crisarà, vicesegretario regionale della Fimmg (medici di famiglia)— oggi i posti nelle strutture intermedie sono 1775, devono arrivare a 3038 nel giro di un anno e mezzo. Tutto si può fare, l’importante è trovare le risorse: la costruzione della rete territoriale in tempi rapidi costa 100 milioni. E dove sono? Del finanziamento necessario alle cure primarie non si dice niente, nemmeno nell’accordo da noi firmato con la Regione per gli ambulatori h24, che contempla solo i contratti di esercizio per i medici di famiglia. Valgono però 40 milioni, 20 dei quali se li mangerà l’Irpef.
Abbiamo assicurato la nostra totale disponibilità—prosegue Crisarà — ora però ci diano gli strumenti per realizzare la grande operazione disegnata sulla carta. Ci informino su dove, quando e come si procederà. Noi siamo pronti ma la politica lo è? Se entro la fine dell’estate salteranno fuori i soldi e sarà chiaro l’indirizzo da seguire si potrà partire, ma non entreremo subito a regime». Sta preparando un documento con le osservazioni del caso la Card, il sindacato dei direttori di distretto, in Veneto diretto da Nino Trimarchi, deciso a capire se «ci sia un travaso di risorse dall’ospedale al territorio o se invece si configurerà l’equilibrio ». L’altro grande dubbio verte sul pericolo che il taglio dei letti negli ospedali non sia contestuale all’attivazione di quelli nelle strutture intermedie (accolgono i post acuti non in grado di tornare a casa). Dice Salvatore Calabrese, segretario regionale dell’Anaao (ospedalieri): «La riduzione annunciata ci preoccupa moltissimo, non solo perchè i corrispondenti posti sul territorio non sono ancora stati ricavati, ma anche in termini assoluti. Già oggi l’Italia è l’ultimo Paese d’Europa per numero di letti, se poi le Regioni iniziano a decurtarli ulteriormente dovremo sostituirli con posti-barella, finchè arriveremo a non avere più nemmeno quelli e allora ci saranno solo posti in piedi. Non si può risparmiare sulla pelle dei malati e a scapito degli operatori, che vedranno peggiorare le condizioni di lavoro. Faccio un esempio: se in Pronto soccorso non ho letti, devo gestire un acuto in barella ed è rischioso. Quando si programmano ristrutturazioni aziendali, i passi principali devono concretizzarsi simultaneamente: prima si procede con la nuova organizzazione e poi si archivia la vecchia. Il secondo nodo chiude Calabrese — comprende il poco tempo a disposizione per il cambiamento e la mancanza di precise indicazioni sui costi».
«Il punto è se il servizio ne guadagnerà in qualità— aggiunge Luigi Dal Sasso, segretario regionale della Cimo (ospedalieri)—. Se davvero tutti i posti di residenzialità intermedia saranno attivati, anche noi lavoreremo meglio, perchè potremo dimettere i pazienti non più in fase acuta e riservare l’ospedale a chi lo è. Così supereremo l’enorme problema del rischio clinico, legato anche alla mole dei ricoveri impropri, che sovraccaricano i medici. Se le risorse per una riassetto condivisibile ci sono, se i direttori generali sono autorizzati a metterlo in pratica e se i sindaci si convincono che vale la pena riconvertire qualche ospedale invece di scatenare le solite beghe di campanile, tutti insieme potremo far fare un salto di qualità al sistema. Altrimenti ci saremo solo parlati addosso ». In ansia il Tribunale del malato. «Si decanta tanto la continuità delle cure,mase il territorio non c’è che fine faranno i pazienti dimessi e ancora fragili? — si chiede il presidente regionale, Giuseppe Cicciù —. E poi: si vogliono tagliare i letti ospedalieri quando già oggi diversi malati finiscono in corridoio? Invece di parlare di massimi sistemi, la Regione risponda alle vere emergenze quotidiane: la qualità dell’assistenza, ticket così salati da costringere migliaia di veneti a rinunciare alle cure, le lunghe liste d’attesa, le ore di anticamera nei Pronto soccorso, il fatto che il medico di famiglia ormai non visiti più a domicilio e non lavori nel week end». All’erta perfino i primari, nonostante le apicalità aumentino da 727 a 754. «Non vorremmo che nel passaggio da un’organizzazione a un’altra qualcuno possa perdere qualche posizione di carriera—riflette Marco Pradella, segretario nazionale dell’Anpo —. Può accadere a tutti i livelli, non solo a noi, per esempio nella chiusura o accorpamento di reparti. Abbiamo chiesto alla Regione di redigere un regolamento per gestire mobilità e ricollocamento dei soggetti coinvolti, che se danneggiati dalla riforma potrebbero ostacolarla».
Michela Nicolussi Moro – Corriere del Veneto – 21 giugno 2013