Malattia di Charcot, morbo di Lou Ghering, Sla, quella di Stefano Borgonovo e di Luca Signorini, 1.299 malati in Italia, meno uno. La guardia venatoria più stimata nel Veronese, l’ufficiale della Polizia Provinciale Flavio Bellamoli, 55 anni, malato dal 2006, infermo dal 2007, giù alpinista e trekker internazionale di vaglia, coraggioso cacciatore di bracconieri sul Baldo e in Lessinia, amico vero degli animali, trasferito d’ufficio – proprio nel 2006 – nella Bassa a far le multe ai cani senza guinzaglio, non si è svegliato più venerdì mattina a casa sua a Cerro, per una malattia che ti spegne progressivamente tutte le funzioni, tranne il cervello.
Bellamoli lo sapeva e scriveva di tutto, con un dito solo, leggeva e comunicava con il computer oculare, non camminava più, respirava malissimo, parlava sempre meno (bradilalia), sorrideva però ai molti amici che lo andavano a trovare, ai colleghi che salivano nella sua bella casa a testimoniargli amicizia e stima, perché la sua vita era una testimonianza di attaccamento al dovere, di vigilanza agli attentati all’ambiente, di leggendari inseguimenti e catture (e denunce) di cacciatori di frodo, resistenza a intimidazioni e minacce (anche interne), difesa della fauna selvatica quale «patrimonio indisponibile dello Stato» dentro i canali misteriosi del traffico internazionale di selvaggina protetta della malavita (il terzo al mondo dopo armi e droga). Non alto, tarchiato, sguardo dritto, parole poche, azione molta. Cimbro. Occhi umidi e dolci (come il capriolo, il daino), talvolta severi, vigili, fissi (come il camoscio), talaltra interrogativi e maestosi (come il cervo), sguardo spesso lontano (come l’aquila).
Allora la politica dell’Amministrazione provinciale sulla caccia era «prelevare dal patrimonio faunistico gli interessi del capitale», come dicevano il dirigente dottor Ugo d’Accordi e il faunista Bruno Mastini. Le cose cambiarono il primo agosto 2000, le squadre antibracconaggio vennero disperse, dalla montagna le mandarono a Legnago. Lui ne fece una malattia. Aveva a fianco un angelo, la moglie dal 1985 Giusy Aganetti, sei fratelli sempre disponibili, insieme a sua madre Elisa, l’amore incondizionato fedelissimo del suo Cico, un barboncino che, quando era stanco nelle lunghe escursioni alpestri, portava dentro lo zaino.
«Una benedizione non fa mai male» penserà adesso (forse) che gli fanno il funerale in chiesa a Cerro, martedì alle 10, e non era credente. Sarà però contento che non lo vestiranno in divisa, coi galloni, ma da alpinista: scarponi, corda, ramponi e piccozza. La salma sarà cremata, le ceneri disperse in montagna. In Lessinia i caprioli liberati per ripopolamento non duravano. Le bande dei bracconieri, specie quelle di Fosse, li sterminavano subito. Adesso ve ne sarà uno cui i proiettili non faranno nemmeno il solletico, li guarderà col naso tumido. O forse è un camoscio. Uno nuovo.
Bartolo Fracaroli – Corriere di Verona – 3 novembre 2013