Spese certi e dati Istat: tutti i rilievi dell’Authority per la Privacy. Ecco i dati che il Fisco non potrà utilizzare e contestare
Dalle spese certe, al contraddittorio. Passando per l’esattezza dei dati e per una corretta informativa ai contribuenti. Il Garante delle privacy ha vincolato il suo via libera al redditometro a una serie di misure che devono renderlo conforme alla normativa sulla privacy. Sono interventi necessari a correggere «i numerosi profili di criticità» emersi. Diversi gli aspetti dello strumento messo a punto dall’Agenzia delle Entrate che vanno rivisti.
SPESE CERTE: Il reddito del contribuente potrà essere ricostruito utilizzando unicamente spese certe e spese che valorizzano elementi certi (possesso di beni o utilizzo di servizi e relativo mantenimento) senza utilizzare spese presunte basate unicamente sulla media Istat.
SPESE MEDIE ISTAT: I dati delle spese medie Istat non possono essere utilizzati per determinare l’ammontare di spese frazionate e ricorrenti (es. abbigliamento, alimentari, alberghi etc.) per le quali il fisco non ha evidenze certe. Tali dati infatti, riferibili allo standard di consumo medio familiare, non possono essere ricondotti correttamente ad alcun individuo, se non con notevoli margini di errore in eccesso o in difetto.
FITTO FIGURATIVO: Il cosiddetto «fitto figurativo» (attribuito al contribuente in assenza di abitazione in proprietà o locazione nel comune di residenza) non verrà utilizzato per selezionare i contribuenti da sottoporre ad accertamento, ma solo ove necessario a seguito del contraddittorio. Il «fitto figurativo» dovrá essere attribuito solo una volta verificata la corretta composizione del nucleo familiare, per evitare le incongruenze riscontrate dal Garante (che comportavano l’attribuzione automatica a 2 milioni di minori della spesa fittizia per l’affitto di una abitazione).
ESATTEZZA DEI DATI: L’Agenzia dovrà porre particolare attenzione alla qualità e all’esattezza dei dati al fine di prevenire e correggere le evidenti anomalie riscontrate nella banca dati o i disallineamenti tra famiglia fiscale e anagrafica. La corretta composizione della famiglia è infatti rilevante per la ricostruzione del reddito familiare, l’individuazione della tipologia di famiglia o l’attribuzione del fitto figurativo.
INFORMATIVA AI CONTRIBUENTI: Il contribuente dovrá essere informato, attraverso l’apposita informativa allegata al modello di dichiarazione dei redditi e disponibile anche sul sito dell’Agenzia delle entrate, del fatto che i suoi dati personali saranno utilizzati anche ai fini del redditometro.
CONTRADDITTORIO: Nell’invito al contraddittorio dovrà essere specificata chiaramente al contribuente la natura obbligatoria o facoltativa degli ulteriori dati richiesti dall’Agenzia (es. estratto conto) e le conseguenze di un eventuale rifiuto anche parziale a rispondere. Dati presunti di spesa, non ancorati ad alcun elemento certo e quantificabili esclusivamente sulla base delle spese Istat, non potranno costituire oggetto del contraddittorio. E questo perché la richiesta di tali dati – relativi ad ogni aspetto della vita quotidiana, anche risalenti nel tempo – entra in conflitto con i principi generali di riservatezza e protezione dati sanciti in particolare dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Privacy, redditometro verso lo sblocco. Provvedimento del Garante in dirittura d’arrivo. La parola va alle Entrate
Il traguardo sembra davvero vicino. Questione di (pochi) giorni o addirittura di ore e il Garante della privacy dovrebbe finalmente licenziare il provvedimento destinato a sbloccare la partita del nuovo redditometro e lanciare la palla nel campo dell’amministrazione finanziaria per l’avvio dei controlli. Un esame approfondito condotto negli ultimi mesi e che ha portato a un filo diretto con le Entrate per risolvere i nodi sollevati dall’Authority preposta alla tutela dei dati personali.
Le limature finali al provvedimento serviranno anche a sciogliere i dubbi sulle eventuali indicazioni all’Agenzia in relazione alle cautele da adottare nell’utilizzo della versione 2.0 dello strumento d’accertamento. L’istruttoria del Garante della privacy, infatti, ha cercato di fare il punto sulla qualità e sull’affidabilità dei dati presenti nel cervellone dell’Anagrafe tributaria ma anche sulla profilazione dei contribuenti, vale a dire le modalità con con cui sono stati costruiti gli identikit e l’attribuzione delle spese medie Istat.
Le principali criticità
Sotto il primo aspetto c’è sicuramente una questione relativa all’eterogeneità dei soggetti che comunicano informazioni al Fisco. Un esempio? L’errata indicazione del codice fiscale potrebbe far imputare l’acquisto del bene a un altro contribuente nei confronti del quale potrebbe poi scattare la selezione con il redditometro. Non è una questione di secondo piano, visto che la circolare 24/E/2013 di fine luglio ha precisato – per offrire maggiori garanzie al contribuente – che la selezione avverrà proprio sui dati certi, ossia sulle informazioni già presenti nel patrimonio dell’Anagrafe tributaria. Il problema, del resto, era stato già sottolineato dalla commissione parlamentare di vigilanza alla fine della scorsa legislatura, che aveva sottolineato il rischio errori nei dati nel cervellone del Fisco. A pesare – secondo il documento stilato dalla commissione guidata da Maurizio Leo – è la mancanza di standard omogenei di raccolta e classificazione da parte dei diversi soggetti coinvolti. La conseguenza è una difficoltà nella ricostruzione della posizione del contribuente.
Sotto il versante della profilazione, invece, il singolo contribuente viene inserito in un modello standard di famiglia di appartenenza a prescindere dalla tipologia di reddito prodotto. Il rischio (più volte sottolineato anche dal Sole 24 Ore) è di accomunare in una stessa categoria soggetti molto diversi tra loro. In qualche modo, però, le indicazioni di prassi arrivate la scorsa estate dall’Agenzia portano a connotare il nuovo redditometro più come uno strumento di selezione dei soggetti a maggior rischio evasione in presenza di rilevanti scostamenti tra redditi dichiarati al Fisco e tenore di vita ricostruito attraverso le spese sostenute. Un meccanismo che trova poi nel doppio contraddittorio il momento in cui il contribuente può portare gli elementi in grado di dimostrare i maggiori redditi a disposizione non confluiti in dichiarazione (perché, per esempio, già tassati alla fonte o esclusi per legge dalla formazione della base imponibile) così come l’errata imputazione dell’acquisto o del valore di un bene. A ciò si aggiunga che le tanto contestate medie Istat – finite nel mirino fin dall’emanazione del decreto attuativo (Dm Economia del 24 dicembre 2012) – entrano in gioco solo in un secondo momento se le giustificazioni fornite dal contribuente non sono state ritenute convincenti.
I controlli programmati
Ad ogni buon conto, il provvedimento del Garante della privacy rimetterà di nuovo in gioco l’agenzia delle Entrate, rimasta finora in stand by proprio in attesa del via libera dell’Authority. Molto dipenderà dal contenuto finale del provvedimento, perché eventuali condizioni proprio nelle modalità di utilizzo dei dati potrebbero chiedere l’adozione di ulteriori “accorgimenti” da parte degli uffici. Nelle ultime settimane i vertici dell’Agenzia hanno assicurato che lo strumento, comunque, è destinato a partire entro la fine dell’anno. Ma il poco tempo a disposizione potrebbe non consentire di effettuare tutti i 35mila controlli previsti per il 2013. Va, però, anche ricordato che i termini per le verifiche sul primo periodo d’imposta (il 2009) accertabile con il nuovo strumento scadono alla fine del 2014.
Il Sole 24 Ore – 21 novembre 2013