Prima di tutto la notizia: i prezzi dei beni di consumo stanno calando leggermente. Poi un doveroso freno agli entusiasmi: questa non è una buona notizia. «Tra il 2013 e il 2014, il Veneto è l’unica regione d’Italia dove i prezzi sono calati in media dello 0,1% – dice il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi -. Nonostante il forte afflusso turistico e nonostante il reddito medio ancora tra i più elevati del Paese, la crisi e la disoccupazione hanno eroso pesantemente la capacità d’acquisto delle famiglie che non stanno più consumando. Di fatto stiamo imboccando il tunnel della deflazione, una spirale pericolosa da cui non è facile trovare un uscita».
L’allarme lanciato dagli artigiani è motivato dal fatto che, quando i prezzi inziano a calare, i consumatori rimandano inevitabilmente gli acquisti (perché comprare oggi se domani costa meno?) mettendo in crisi tutto il sistema produttivo che si abbevera nel mercato interno. Al momento non si può ancora dire che l’abbassamento dei prezzi veneti sia dovuto al fenomeno della deflazione (può anche essere un semplice assestamento regionale visto che a livello nazionale sono lievemente aumentati dello +0,4%), ma potrebbe essere un segnale di un malessere ben più grave.
«Variazioni così piccole non rappresentano un problema reale, ma sono febbri che denunciano la presenza di una malattia che si sta acutizzando: la mancanza di domanda interna», spiega l’economista Enzo Rullani. «Se questo dato dovesse confermarsi nel tempo il problema riguarderebbe soprattutto gli investimenti – continua Rullani -. La deflazione è un vero e proprio incentivo al rinvio degli acquisti. Per questo si preferisce una leggera inflazione intorno al 2% che fa da incentivo a comprare invece che aspettare».
Il combinato disposto della crisi economica, delle politiche di austerity dell’Unione europea e della ricerca disperata di equilibrio di bilancio dei governi italiani che si sono succeduti in questi ultimi anni ha però contribuito ad alimentare il rischio di deflazione. Per restare competitive sui mercati stranieri e contenere così al massimo l’aumento dei prezzi dei prodotti finali, le imprese venete hanno avviato rigidissimi processi di ristrutturazione licenziando tutti quei lavoratori che non considervano strettamente necessari alla produzione. Gli obiettivi sono stati raggiunti da molte aziende come dimostra il fatto che l’export è cresciuto esponenzialmente in questi anni, ma al prezzo di un raddoppo dei disoccupati (dal 3,3% del 2007 si è superato oggi il 7%). La mancanza di lavoro (o meglio: di stipendio) si è tradotta dunque in una diminuzione dei consumi interni a danno di quel tessuto produttivo che è tradizionalmente locale come il comparto dell’edilizia (visto che le case non si possono esportare). «A questo si aggiunge che le famiglie che si sono trovate un disoccupato in casa si sono spaventate e hanno ripreso a risparmiare dove possono contribuendo a gelare ulteriormente i consumi», continua Bortolussi a cui fa eco il presidente dei costruttori Luigi Schiavo che però mette in guardia dallo scambiare l’assestamento dei prezzi con la deflazione.
«È evidente che se i prezzi di vendita si abbassano troppo fino a raggiungere i costi di produzione non c’è più margine per i futuri investimenti – spiega Schiavo -, ma al momento i prezzi degli immobili si sono abbassati perché molte banche hanno bisogno di fare cassa». Basta guardare le aste giudiziarie per capire il riferimento: il Veneto, come anche altre regioni del Nord Italia, è cresciuto principalmente a debito negli ultimi cinquant’anni e, da quando è iniziata la crisi, si è fermata all’imrovviso la danza dei soldi che permetteva di creare altri soldi. Alla fine del primo giro dunque i costruttori si sono trovati interi edifici invenduti, gli istituti di credito si sono trovati in pancia automobili e appartamenti (frutto dei pignoramenti per mancati pagamenti delle rate), le aziende hanno licenziato migliaia di persone per essere più concorrenziali e i lavoratori si sono trovati senza il posto e senza i soldi per fare acquisti e pagare i mutui. All’inizio del secondo giro tutto è ricominciato con maggiore violenza. E il calo dei consumi iniziale ha generato un ulteriore calo dei consumi, un nuovo calo di produzione e un conseguente calo di lavoro e di soldi. Con conseguente calo dei prezzi, cioé la deflazione.
Corriere del Veneto – 17 aprile 2014