di Renzo Mazzaro. Vi ricordate Melampo, il cane messo a guardia del pollaio nel libro di Pinocchio, che aveva fatto un patto con le faine: se evitava di abbaiare svegliando il contadino, le faine davano una gallina anche a lui. I controllori pagati per chiudere un occhio e magari due, sono una vecchia risorsa dei lestofanti che mirano al pollaio. Ma integrati nel sistema con stipendio annuale, non si erano ancora visti. E che stipendi: da trecento, quattrocento, cinquecentomila euro.
Sborsati anche questi dal contadino, cioè dai contribuenti, come la gallina mangiata da Melampo, che sempre al contadino apparteneva. Insomma oltre al danno anche la beffa, perché le tangenti dovevano tornare a casa con gli interessi. Le aziende non sborsavano a fondo perduto. Per di più mettevano le fatture false in detrazione fiscale. Maestri. Al primo rullo di tamburi, suonato qualche giorno fa con l’avviso di garanzia all’ex ministro Altero Matteoli, un giornalista veneto che faceva il viaggio di ritorno da Roma con Giancarlo Galan, aveva chiesto all’ex presidente come andavano le cose. «Ah, il mondo va alla rovescia», avrebbe risposto lui. Probabilmente sapeva già, come forse sapeva l’anno scorso Giovanni Mazzacurati, arrestato due settimane dopo che si era dimesso dalla presidenza del Consorzio Venezia Nuova. Ma stavolta si entra nel girone superiore. È il terremoto annunciato, il ribaltone veneto.
Un mondo intero va a gambe all’aria. Finisce il ventennio, non sappiamo quanto glorioso, cominciato nel 1994, quando Galan con Lorena Milanato batteva le redazioni dei giornali e delle tv per annunciare la nascita di Forza Italia e la sua personale discesa in campo, come candidato presidente della Regione scelto da Berlusconi. Crolla un sistema di relazioni ristrette, di collusioni tra politica e affari, costruito con fatica a cominciare dalla legislatura 1995-2000, quando Galan non conosceva ancora la macchina amministrativa, ma sapeva bene quello che voleva. Nei primi cinque anni lo guida Lia Sartori, con la quale l’intesa è immediata: Giancarlo occupa i posti con i suoi amici ex liberali, i Migliorini-boys come li avevamo ribattezzati, senza offesa per l’avvocato Luigi Migliorini di Adria, un maitre a penser d’altri tempi. Dal 2000 in poi il patto Bossi-Berlusconi e l’alleanza con la Lega aprono un’autostrada e tutto diventa possibile per Giancarlo.
Comincia l’assalto alla Save, l’uso di Veneto Sviluppo per gestire i rapporti con la finanza privata, nascono le intese sulle grandi opere pubbliche al traino della Mantovani di Piergiorgio Baita: dal Passante al rigassificatore, dalla Pedemontana alla nuova Valsugana, alla Nogara-Mare, ai project per i nuovi ospedali. Nel 2005 questo giornale poneva al gruppo dei liberal-socialisti di Galan ma anche al centrosinistra business oriented e all’intera classe dirigente veneta, il problema dell’alternanza. Con ragionamenti elementari, che si usano in paesi come gli Stati Uniti, ai quali guardiamo solo quando ci fa comodo: dopo due legislature non ti ricandidi, neanche se sei bravissimo. Perché l’assuefazione al potere crea stratificazione, collusioni, rendite di posizione ingiustificate, propensione all’illegalità. Nel migliore dei casi.
La risposta di Giancarlo Galan fu un’alzata di spalle in pubblico e una ritorsione feroce in privato. «Io avevo il potere e l’ho esercitato, pesantemente, sissignore», ebbe a dire di recente, con quell’aria spavalda che l’ha sempre aiutato. «Cosa deve fare uno che ha il potere, se non esercitarlo?». Era il 19 giugno 2012, alla presentazione del libro “I padroni del Veneto” a Padova. Galan si considerava ancora un uomo al di sopra dei sospetti, forse perché la frana non era ancora cominciata. Lo smottamento parte il 28 febbraio 2013 con l’arresto di Piergiorgio Baita. Accelera il 13 luglio con i domiciliari a Mazzacurati. Oggi l’ondata devastante del Mose – pensare che le dighe mobili dovrebbero fare il lavoro opposto, frenare le mareggiate – non risparmia il centrosinistra: paradossalmente fa più rumore il sindaco di Venezia agli arresti domiciliari di un Galan provvisoriamente salvato dall’autorizzazione a procedere. Questa almeno era la scala di grandezze di una tv russa, ieri a Venezia per la Biennale. E forse non solo la sua, visto che il sindaco Orsoni ha reagito indispettito alla perquisizione. Risulta invece che il più tranquillo sia stato l’assessore regionale Chisso: gentile e disponibile con i finanzieri, ha chiesto solo di portarsi dietro delle pastiglie.
Ma l’arresto di Chisso apre una falla nella giunta regionale. Costringe Luca Zaia a rispondere a domande che finora ha dribblato, con il suo rituale «male non fare, paura non avere». Zaia è sempre il capo di un governo veneto che sul sistema delle grandi opere pubbliche ha costruito il consenso. Uno degli arrestati, Roberto Meneguzzo, è il presidente di quella Palladio Finanziaria che sta promuovendo il project per il nuovo ospedale di Padova. Qualcosa bisognerà aggiustare. Probabilmente qualcosa cambierà anche nel mondo delle imprese. A meno che non finisca solo il piagnisteo di chi era rimasto senza una fetta di torta e pensa di andare ad occupare il posto dei silurati del momento, alle stesse condizioni. Per evitarlo è tutto il Veneto che deve porsi il problema. Dovremmo chiederci dove eravamo noi, quando questo sistema marciava a pieno regime: in prima fila ad applaudire? È chiaro che i reati potevano essere scoperti solo dopo le perquisizioni. Ma una cosa non possiamo fare, cadere dal pero.
Il Mattino di Padova – 6 giugno 2014