Non ha esitazioni quando la domanda punta dritta all’articolo 18, tema di questi giorni sia per la proposta lanciata da un alleato di Governo come Angelino Alfano, sia perché in quel menù di riforme che l’Europa e i mercati aspettano c’è il mercato del lavoro inclusa la libertà di licenziamento. E Matteo Renzi liquida subito proposte e attese: «Oggi l’articolo 18 è assolutamente solo un simbolo, un totem ideologico, proprio per questo trovo inutile stare adesso a discutere se abolirlo o meno. Serve solo ad alimentare il dibattito agostano tra gli addetti ai lavori».
Anche se ormai il tema non è più per addetti ai lavori, vista la frequenza con cui se ne parla dal 2002, è chiaro che il premier non vuole mettere benzina sul fuoco e preferisce rispondere a brutto muso ad Alfano piuttosto che alimentare – sin d’ora – la polemica nel Pd. È chiaro che Renzi vuole affrontare con cautela quella che si annuncia come la partita più delicata nel suo partito, ancora più che le riforme costituzionali, visto che sul lavoro il Pd resta fortemente spaccato. E allora il premier misura le parole e parla di una riscrittura dello Statuto che sembra però solo sul fronte delle garanzie. «C’è un ddl delega che si sta discutendo in Parlamento. È giusto o no riscrivere lo statuto dei lavoratori? Sì. Riscrivendolo pensiamo alla ragazza di 25 anni che non può aspettare un bambino perché non ha le garanzie minime, non parliamo solo dell’art. 18 che riguarda una discussione tra destra e sinistra».
Insomma, è quello che in gergo calcistico si chiama dribbling visto che una riforma mette sul tavolo molto più che il sistema del welfare. L’impressione è che il premier non voglia alzare polveroni estivi e preferisca lasciare che il tema del lavoro maturi ancora, soprattutto nel suo partito. Ma gli risponde subito Maurizio Sacconi, ex ministro e presidente dei senatori di Ncd: «Di art. 18 ne discutiamo in agosto perché a fine mese si deve decidere». Insomma, la polemica resterà ma intanto, Renzi può vantare i risultati dei primi provvedimenti sul lavoro che hanno semplificato alcune norme di ingresso al lavoro. «Il decreto Poletti ha consentito di creare 108mila nuovi assunti. Come certifica l’Istat». E Renzi ricorda pure un altro successo del suo Esecutivo, quella vertenza con l’Electrolux che ha consentito, grazie anche a quei decreti, di mantenere gli stabilimenti in Italia.
Ma dietro i fatti, c’è la realtà delle alleanze politiche attuali e future. Innanzitutto la possibilità che si allarghi il patto del Nazareno con Berlusconi anche ai temi economici, varcando i confini delle riformeistituzionali. UnaprospettivacheRenzichiude. «Cideveessere rispetto per tutti, i dossier degli altri li leggo sempre. Ma per noi l’accordo è su due punti: le riforme istituzionali e la legge elettorale». Un punto, quello delle riforme, su cui aveva insistito anche il governatore della Bce Mario Draghi, come ha ricordato Renzi: «Ha detto chesel’Italia vuole attrarre investimenti deve fare le riforme. Sulle riformeitaliane condividodalla Aalla Z le parole di Draghi».
Lo stop all’allargamento della maggioranza non piacerà a chi in Forza Italia si era esposto per nuovi accordi, inclusi i più ostili al premier come Brunetta, ma che invece sarà apprezzato dal partito di Alfano che – nel caso di “maggioranze allargate” – perderebbe peso nel Governo. Eallora, dopo aver liquidato la proposta sull’art. 18, il premierrecupera stringendo i bulloni della attuale maggioranza. A partire dai temi caldi: una nuova manovra? «Lo smentisco, noi l’abbiamogià fatta e abbiamo abbassato le tasse». E per il futuro: «La pressione fiscale in Italia è troppo alta. Ma se ho 10 miliardi preferisco che siano indirizzati di più su alcune categorie e non su tutti». Renzi tuttavia si dissocia da quell’espressione «vù cumpra» usata dal ministro dell’Interno: «Per me non è un termine giusto. Io non l’avrei utilizzato».
Circa il bonus di 80 euro, il premier è tuttavia prudente: «Sicuramente lo manteniamo per chi ce l’ha, vediamo se possiamo estenderlo». C’è poi la partita della spending review: «Il taglio di spesa 2015 sarà di 16 miliardi. Con Cottarelli tutto rientrato, manoncisideve affidare al demiurgo». E sulla questione “quota 96”, i 4mila insegnanti che vorrebbero andare in pensione, ha risposto: «Il problema sono i milioni di persone che non hanno lavoro».
Infine l’altro tema di questi giorni, l’intesa su Alitalia su cui Matteo Renzi dice di non essere più disposto a versare soldi pubblici. «È del tutto doveroso nondaremai più risorse pubbliche. Neabbiamo messe talmente tante chesarebbe inaccettabile». E poi: «Bisogna avere il coraggio di far fallire alcune aziende che sono dei carrozzoni». E mentre ancora si parla di un possibile incontro nei prossimi giorni con il Quirinale, oggi parte per un blitz a Milano prima delle tappe al Sud. Loscrive il premier in untweet: «DomaniExpo. Poi Napoli (Città scienza, Bagnoli), Reggio Calabria, Sicilia. E qui si lavora allo “sblocca Italia” #italiariparte».
Il Sole 24 Ore – 13 agosto 2014